Mondevàl è una vallata alpina compresa nel gruppo dolomitico Croda da Lago – Cernèra. Si sviluppa in due contesti, entrambi in territorio delle Regole di San Vito di Cadore e quasi interamente compresi nel medesimo Comune in provincia di Belluno.
MONDEVAL, appunti sulla storia archeologica e sui ritrovamenti
(Ultimo aggiornamento 25 aprile 2020)
Secondo l’università di Ferrara, che lo sta studiando, “il sito di Mondeval de Sora (VF1), nel cuore delle Dolomiti bellunesi, rappresenta uno dei principali depositi archeologici con evidenze riferibili al Mesolitico dell’arco alpino meridionale e, più in generale, della Penisola italiana”(Fontana e altri). La scoperta è avvenuta nel 1980 grazie alle ricerche di Vittorino Cazzetta, oggi scomparso, a cui è stato intitolato il museo di Selva di Cadore. Il sito è a quota 2150 metri in una valle con numerosi piccoli torrenti e ben collegata con i fondovalle attraverso il passo Giau e altre forcelle. Sui due lati di un grande masso sono state scoperte frequentazioni umane che vanno dal Mesolitico all’età romana fino ai nostri giorni. Si inizia nel mesolitico antico (Sauveterriano) tra il 9175-7731 a.C. Si tratta di resti di abitato stagionale sotto il riparo con una pavimentazione di 8 mq. con piccole lastre di tufite e una massiciata di blocchi di dolomia.
Sono stati rinvenuti diverse decine di migliaia di manufatti litici, fra scarti di lavorazione e utensili, carboni, resti di fauna e piccoli frustoli di ocra che ricoprivano la pavimentazione, la massicciata e parzialmente il suolo sterile. Secondo gli studiosi “le materie prime impiegate (determinazione S. Bertola) sono rappresentate principalmente da litotipi della Serie Veneta, con prevalenza della formazione della Scaglia Rossa (ca. 60 %), seguita dalla Maiolica e dalla Scaglia Variegata, cui si aggiungono rocce affioranti localmente (formazione di Buchenstein) e rari manufatti in quarzo ialino. È verosimile che una cospicua parte di tali risorse fosse approvvigionata nell’ambito del bacino idrografico del fiume Piave, ad una distanza in linea d’aria compresa tra i 20 e 40 chilometri da Mondeval.” “ Per quanto riguarda la composizione dell’insieme faunistico la specie maggiormente rappresentata è il cervo (Cervus elaphus) seguito dallo stambecco (Capra ibex).
Con un numero nettamente inferiore di resti, ma comunque non trascurabile, sono presenti anche il camoscio (Rupicapra rupicapra) e il capriolo (Capreolus capreolus). Una parte del campione è stata, infine, attribuita genericamente ai caprini, non avendo elementi diagnostici discriminanti per effettuare un’identificazione a livello specifico. Sono stati riconosciuti anche alcuni resti di cinghiale, mentre i carnivori, quali lupo, volpe e orso, sono presenti in numero molto ridotto. Si segnala infine la presenza di un dente e di una terza falange di uro. Sulla base della stima del grado di eruzione e di usura dentaria, e lo stato di ossificazione delle ossa lunghe, si è riscontrato che la maggioranza degli animali presenti nel campione è rappresentata da individui adulti, anche se va segnalato che i soggetti giovanili sono presenti in tutte le specie identificate, ad eccezione dell’uro e del lupo” (Govoni, 2006; Thun Hohenstein et al., 2016).
Ma indubbiamente il ritrovamento più importante è una sepoltura mesolitica intatta di un cacciatore del Mesolitico recente (Castelnoviano) datata al 5.425 a.C. (+-55)! Si trattava di un maschio di circa quarant’anni, alto 167 cm. La tomba era “costituita da una fossa nella quale il defunto era deposto supino (US 5), era localizzata in una posizione centrale dell’area protetta dall’aggetto del masso, prossima alla parete e orientata parallelamente al riparo. Presentava andamento ellittico e sezione leggermente concava ed era delimitata da due grossi blocchi dolomitici di crollo, lungo il bordo ovest ed est. Lo scheletro si presentava complessivamente in ottimo stato di conservazione, essendo privo delle sole, più fragili, parti dello scheletro facciale, e di alcune ossa distali del piede sinistro. L’inumato era deposto con gli arti ben distesi e i piedi appoggiati su un sasso. La mano sinistra era posta verticalmente, sul fianco esterno, con le dita leggermente ripiegate, come a impugnare un oggetto. La parte inferiore del corpo, a partire dal bacino, era ricoperta da pietre selezionate, raccolte nell’area circostante il sito: blocchi di tufite (Strati di Wengen) e marma calcarea (Formazione di S. Cassiano).” Non si è capita la causa della morte.
“Il corredo era composto da 61 elementi di varia tipologia, localizzati in corrispondenza di parti diverse del corpo, mentre a lato della mano destra si trovava una piccola chiazza di ocra (Guerreschi, 1992). Sopra ogni spalla e sotto il cranio erano disposte tre lame in selce gialla, di grandi dimensioni. Sullo sterno e tra le ginocchia si trovavano due punteruoli, che dovevano originariamente chiudere un sudario, mentre sette canini atrofici di cervo forati erano variamente localizzati in corrispondenza della parte superiore del corpo. Infine, sul fianco sinistro, ad altezze diverse, erano posti tre insiemi di oggetti. Il primo, in corrispondenza dell’avambraccio, era composto da 33 elementi, di cui 21 manufatti in selce (9 nuclei, 6 lame ritoccate, 4 schegge e 2 lamelle), 3 ciottoli di calcare e 9 manufatti in osso o palco di cervo, tra cui un arpione, lungo 187 mm, su palco di cervo, caratterizzato da due ordini di denti convessi con angolo variabile. Più in basso, sono stati riconosciuti altri due insiemi, simili tra loro per composizione e caratterizzati ciascuno da un aggregato di sostanze organiche. Uno di essi era composto anche da una lama in selce e da un frammento di nucleo con tracce di utilizzo, l’altro (11 pezzi) presentava anche una difesa di cinghiale con tracce d’uso e nove manufatti litici, fra cui 5 lame non ritoccate”. L’altro lato del riparo presenta frequentazioni del Mesolitico, dell’età del bronzo e di epoca storica. Nello strato mesolitico antico compaiono molte selci locali e della valle del Piave quindi si potrebbe pensare a insediamenti nei fondovalle. Per l’età del bronzo (II millennio a.C.) sono stati scoperti alcuni focolari e un fondo di capanna; quindi anche in questo periodo si saliva a quote notevoli. La presenza dell’uomo in età romana, probabilmente per la pastorizia, è testimoniata da due monete bronzee di Costanzo I (337-350) e Teodosio I (388-393 d.C.)
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LE ISCRIZIONI VENETICHE DI MONDEVAL
L’assoluta mancanza di reperti preromani è stata recentemente smentita dalle scoperte degli appassionati ricercatori locali, fra cui i nostri iscritti Daniele Lucia, del Favero Lino e Belli Corrado. Sono state inizialmente rinvenute nell’area di Mondeval due pietre, una delle quali con iscrizione venetica è stata esposta alla mostra AKEO di Montebelluna; noi vi forniamo la descrizione di entrambe della professoressa Mariagrazia Lui, che le ha potute esaminare a San Vito insieme alla professoressa Marinetti, alla dottoressa Cangemi e al Soprintendente ai beni archeologici del Veneto dottor Malnati.
La pietra n.1 ha le seguenti misure:
Lato A cm. 18, lato B cm. 19, lato C cm. 23, lato D cm, 17 ed uno spessore di cm. 4-5. Dovrebbe trattarsi di arenaria.
I lati A, B, D, sono stati spezzati recentemente; infatti , presentano una colorazione diversa dalle altre facce ed una patina non molto spessa di materiale organico (muschi , licheni ed altro). Il lato C, spezzato a sua volta, deve essere frutto di una lavorazione (o di caso ) antica. In basso la pietra presenta tracce di lavorazione a mo’ di cornice e si suppone che fosse lavorata in modo da reggersi in verticale, forse infissa nel terreno. La superficie recante l’iscrizione è frutto di una raffinata e paziente lavorazione con una sorta di martelletto. L’iscrizione che si svolge lungo tutto il lato A sembra essere la parte centrale di un’iscrizione più lunga, mutila certamente della prima parte, meno certamente della parte finale; un segno a potrebbe essere interpretato come una traccia di puntuazione e, quindi , non costituire la parte iniziale di un’altra lettera. Sono oggi leggibili , almeno ad occhio nudo, nove lettere, in buona e chiara grafia locale (cadorina), piuttosto sicure e pulite nei tratti, dall’altezza di cm. 4 e dalla larghezza di cm. 2. L’ipotesi avanzata è che si tratti di un patronimico in caso nominativo; purtroppo l’aspetto mutilo non lascia spazio a congetture circa il nome proprio del personaggio citato dal patronimico. L’assenza di notizie circa il contesto di rinvenimento (votivo, funerario, altro) non consente per ora di avanzare ipotesi interpretative. L’iscrizione si può tradurre così: KIKANIJOS (figlio di kikanio). La pietra n. 2 ( della quale non sono riuscita a rilevare le misure) appare cosparsa di lettere (L, M, ed altre) incise profondamente in epoca assai recente e presenta un circolo realizzato a compasso (è evidente ancora il foro centrale nel quale è stato puntato il compasso ). E’ impossibile datarla, visto che il luogo è stato frequentato per secoli da pastori e viandanti ed è credibile che chiunque di loro ed in ogni epoca potesse voler incidere un segno o le proprie iniziali su pietra. Più interessante è risultato il secondo piano della pietra che reca, oltre ad un’accurata preparazione del supporto scrittorio, una miriade di segni realizzati con la tecnica filiforme, graffiti con selce o più facilmente con una punta di metallo. Sembra richiamare manufatti simili rinvenuti in Valcamonica o Wurmlach. Mariagrazia Lui
A seguito di questa scoperta il lavoro di Daniele Lucia ha portato alla costituzione di una cellula museale con l’esposizione della pietra e ad un convegno sulla scoperta. Durante la successiva visita al luogo del ritrovamento uno dei partecipanti ha scoperto un’altra pietra con incisioni in venetico; è quindi evidente che non si tratta di un reperto sporadico ma di qualcosa di più complesso. Le ipotesi più probabili sono quelle di confinazioni o indicazioni per antichi percorsi ma non vanno scartati a priori supposizioni legati a dei culti.