CADORE, UN TERRITORIO ANTICO – appunti sulla storia archeologica e sui ritrovamenti
(ultimo aggiornamento 07-05-2020)

indice:
DALLA PREISTORIA AGLI ANTICHI ROMANI
IL  MEDIOEVO E L’ETÀ MODERNA

LA PREISTORIA E L’ETÀ DEL RAME
L’ETÀ DEL BRONZO
L’ETÀ DEL FERRO
L’ETÀ ROMANA
IL MEDIOEVO

APPUNTI SULLA STORIA ARCHEOLOGICA E SUI RITROVAMENTI

DALLA PREISTORIA AGLI ANTICHI ROMANI
Le prime tracce dell’uomo in Cadore risalgono al Paleolitico Superiore (attorno ai 12.500 anni fa, Epigravettiano) quando, essendosi ritirati gran parte dei ghiacciai che nei momenti più freddi dell’ultima glaciazione avevano coperto l’intero arco alpino, queste zone erano tornate ospitali per gli animali e per l’uomo. I cacciatori-raccoglitori di questo periodo, e del successivo Mesolitico, nei mesi estivi frequentavano le praterie d’alta quota per cacciare cervi, stambecchi e camosci.
Risale al Mesolitico, l’epoca degli ultimi cacciatori-raccoglitori prima dell’arrivo dell’agricoltura, la sepoltura di Valmo-l’Uomo di Mondeval, datata a circa 8000 anni fa e ora conservata nel museo di Selva di Cadore. L’importante rinvenimento venne portato alla luce sotto un riparo di roccia a oltre 2000 m di quota, nella prateria di Mondeval de Sora (S. Vito di Cadore). Il cacciatore era stato deposto con un corredo di oltre 60 oggetti, che hanno permesso di capire molte cose sulla tecnologia e sulla vita di quel periodo.
Poco conosciamo del Neolitico e dell’Età del rame, salvo alcune testimonianze lasciate dai primi pastori in alta quota, che segnano l’inizio della storia dell’alpeggio.
Dall’Età del bronzo, e in maniera più significativa durante l’Età del ferro, la valle del Piave diventa un’importante asse di comunicazione tra il Nord Italia e l’Europa Centrale, fatto testimoniato da importanti ritrovamenti.
A partire dal VI secolo a.C. le sorgenti termali di Làgole (Calalzo di Cadore) ancor oggi visitabili in un pregevole contesto naturale, furono meta di venerazione da parte di Celti, Veneti Antichi, e successivamente Romani. Probabilmente nel V secolo a.C. in questo luogo si strutturò un vero e proprio santuario dedicato al potere curativo delle acque, frequentato per circa mille anni, fino alla caduta dell’Impero Romano. I reperti votivi (statuette, lamine istoriate, armi), e le numerose iscrizioni in venetico e in latino, attualmente esposti al Museo Archeologico di Pieve di Cadore, raccontano antichi passaggi di commercianti, militari e popolazioni attraverso le Alpi.
Di epoca romana conosciamo anche alcuni tratti di strada e numerosi abitati, che includevano strutture di pregio, come la Domus del Municipio di Pieve di Cadore, dotata di un evoluto sistema di riscaldamento a pavimento e di mosaici.
Poco sappiamo dell’arrivo del Cristianesimo e dell’Alto Medioevo, mentre numerose sono le testimonianze a partire dall’XI secolo d.C. (db 019)

IL MEDIOEVO E L’ETÀ MODERNA
Nel 1077 l’imperatore Enrico IV istituisce lo stato patriarcale di Aquileia, concedendo al Patriarca il controllo anche politico di un ampio territorio che si estendeva dal Veneto alla Slovenia e comprendeva anche il Cadore, sul quale, fin dalle sue origini, aveva il dominio religioso.
Nel XIII secolo le Regole cadorine, già unite in federazione “de facto”, ottengono dai conti da Camino, sub feudatari del Patriarca, un primo Statuto (1253). Successivamente, nel 1338, con l’ausilio di giuristi dell’università di Padova, lo trasformano negli Statuti della Comunità di Cadore, i quali sono approvati nel 1347 dal patriarca Bertrando di San Genesio, ospite temporaneo del castello di Pieve, quando accoglie una delegazione di ben 54 rappresentanti delle dieci comunità del Cadore che gli rendono omaggio e promessa di fedeltà. Ciò da origine la Magnifica Comunità di Cadore.
Con la fine del potere temporale dei Patriarchi (1420), i Cadorini votano la loro dedizione alla Serenissima, ottenendo la conferma delle autonomie sino allora godute, in quanto previste appunto dagli Statuti del 1338 e di conseguenza, un’importante autonomia amministrativa. Le condizioni politiche e sociali migliorano e si stabilisce presto una costruttiva intesa con la Repubblica di S. Marco che, in più occasioni, si rivela decisiva, soprattutto durante la guerra difensiva della Serenissima contro la Lega di Cambrai (vasta coalizione anti veneziana con a capo l’Imperatore Massimiliano d’Austria e truppe di tutti gli eserciti europei, primi tra tutti i francesi, conclusasi nel 1517). E’ in quella occasione che Venezia (e il Cadore) perdono la comunità di Ampezzo (Cortina), che diventa Ampezzo del Tirolo.
Sotto la protezione della Serenissima, il Cadore attraversa trecento anni, fino alla caduta della Repubblica di Venezia, nel maggio del 1797, occupata dai francesi di Napoleone Bonaparte.
Le Province Venete vengono dapprima cedute all’Austria; in seguito (1805), annesse al Regno Italico napoleonico, quando vengono abolite le Regole e istituiti i Comuni, obbligati a sottostare al Codice Napoleonico.
In seguito alla caduta di Napoleone (1814), il Cadore passa nuovamente sotto l’autorità austriaca ed entra a far parte del Vice-Regno Lombardo Veneto. Al termine della terza guerra di Indipendenza, nel 1866, le Province Venete vengono cedute dall’Austria alla Francia, che le consegna al Regno di Piemonte, successivamente Regno d’Italia. (mfb 09.019)

 


Introduzione al Cadore (G.Zandegiacomo S., maggio 2020)

LA PREISTORIA E L’ETÀ DEL RAME

riparo Mandriz, Selva, IV-III millenio a.C.

La presenza stagionale è accertata a cominciare dal Mesolitico antico (Sauveterriano) tra il 9175-7731 a. C. a Mondeval de Sora. Nello stessa località ma sul lato opposto del riparo è avvenuta la scoperta dell’uomo di Mondeval e del suo notevole corredo(5.500 a.C.). Altri ritrovamenti di selci datati al VII-V millennio a.C. sul Passo Falzarego , sul Passo di Valparola, sul Passo Giau, a Malga Prendera, al lago delle Baste, forcella Pecol, Crepa delle Salere nell’area dei comuni di San Vito di Cadore, Cortina d’Ampezzo e Selva di Cadore. Il recentissimo scavo a Prà Comun sul passo Giau (San Vito) nel 2019 ha portato a individuare due ripari, uno Sauveterriano e uno mesolitico. Gli ultimi studi sulle selci di Mondeval, che sono in parte locali, fanno pensare che ci fossero degli insediamenti fissi nei fondovalle già nel mesolitico recente (Castelnoviano). Altri manufatti in selce di chiara tipologia mesolitica (8000-4500 a.C.) sono stati recuperati in un’area umida a una quota di 2085 metri a Val Visdende, in località Coston della Spina e a Giò d’Olmi, da parte di Catello, Cesco Frare e Villabruna. Altri reperti mesolitici sono stati raccolti a Col della Crodatta, Coltrondo, Spina tutti nel comune di Comelico Superiore. Gli stessi ricercatori, su pianori erbosi situati al limitare dell’area boschiva a Pian dei Buoi (Lozzo di Cadore) hanno trovato materiali mesolitici; altre selci lavorate mesolitiche sono state rinvenute a Viza Vecia e a Casera la Grava (Vodo di Cadore) dimostrando che l’intero territorio ad alta quota era ben conosciuto dagli antichissimi cacciatori che qui trovavano le migliori occasioni di riempire il loro carniere. Del Neolitico ci sono poche attestazioni; “”L’inaspettata scoperta del frammento di una punta foliata riferibile al Neolitico finale/età del Rame sulla sommità dei Lastoni di Formin (2654 m s.l.m.) è stata associata a quella di un pugnale in selce trovato sul vicino Monte Cernera (ad un’altitudine simile). Questi due ritrovamenti isolati sono stati interpretati ipoteticamente come deposizioni volontarie, forse ricollegabili ad antiche forme di territorialità in questi paesaggi marginali (Cavulli et al. 2015)”. Nel Museo di Selva di Cadore sono custoditi frammenti di vasi della terza fase delle Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (3500-3000 a.C.), scodelle e strumenti litici e una grande olla. Sul passo Mauria e a Venas sono stati rinvenuti due martelli in pietra che la Carta Archeologica del Veneto data alla metà del III-metà del II millennio a.C.

L’ETA’ DEL BRONZO
A Mondeval, sul lato opposto del masso con la sepoltura, è stato scoperto un sito con un focolare e dei blocchi di dolomia a delimitare l’area datato al 3475-2800 B.P. (XV-IX a.C.). Bisogna poi andare ai ritrovamenti di Crodola a Domegge ; un falcetto e un’ascia ad alette bronzei datati al bronzo recente-bronzo finale (XIII-XII secolo A.C.). Nel 1996 lo scavo del supermercato di Tai ha portato alla luce a m.1,70 di profondità alcune buche di palo su un suolo antropizzato con frammenti ceramici datati al IX-X secolo A.C. (Eugenio Padovan). Una notizia importante è quella di una spada tipo SprockhoffIIa/Cetona (XII-X a.C.) in un luogo imprecisato del Cadore. Altri frammenti di terracotta del XII-X a.C. sono stati trovati da Eugenio Padovan a Pieve dietro la casa di Tiziano sulle pendici del monte Ricco. A Pieve, nella zona di Maias in un bosco in leggera discesa è stata trovata un’ascia di tipo Freunberg ad alette mediane (XIII-XI a.C.). Non va dimenticato lo studio della torbiera di Coltrondo in Comelico che attesta le prime tracce di attività umane dal 2250 a.C. Quindi possiamo concludere che nell’età del bronzo il territorio era già abitato stabilmente, soprattutto a Pieve, ma era frequentato anche in altura.

L’ETA’ DEL FERRO

Elmo celtico esposto al MARC di Pieve di Cadore

Dal VII al II a.C. si diffondono gli insediamenti in Cadore; Pieve, Pozzale, Domegge e Lozzo sono sicuramente abitate. Sono state scoperte necropoli a Lozzo e Pozzale; le sepolture diversificate , alcune con stele iscritte, altre con corredi molto ricchi e altre con numerose armi, dimostrano una una struttura sociale complessa. Le numerose iscrizioni venetiche, fra cui quelle di San Vito a 2000 metri di quota, hanno portato la dott.ssa Marinetti a scrivere di “venetico alpino” per le particolarità della scrittura. Nel luogo di culto di Lagole, attivo dal VI-IV a.C. al IV d.C., ci sono dediche della “Teuta” (comunità) e degli Antistes (magistrati). L’economia era basata sulla pastorizia e l’allevamento del bestiame oltre all’agricoltura ma va anche immaginato uno sfruttamento dei metalli presenti. A Lagole si producevano i bronzetti di guerriero diffusi in tutto il Veneto e il Friuli, oltre alle lamine e le situle. In uno studio sugli elmi cadorini, fra cui quello di Vallesella, la dottoressa Gambacurta afferma che si trattava di una tipologia locale con influenze celtiche d’oltralpe. Sicuramente c’erano contatti con la valle della Gail, come dimostrano le lamine bronzee iscritte in venetico ritrovate poco sotto il Monte Croce Carnico contenenti probabilmente  un ringraziamento a una divinità per l’avvenuto passaggio delle Alpi. Vista la situazione orografica è possibile ipotizzare altri valichi verso la Gailtal, sia da Sappada che da val Visdende, che da val Digon. Mentre tempo fa si spiegava l’insediamento di Gurina per la presenza di minerali, oggi si aggiunge che era fondamentale una linea commerciale che dalla Germania portava fino all’Italia. Il culto di Ercole, dio dei commercianti, comune a entrambi i santuari, è un altro interessante indizio. Resta il dubbio se ci fosse una vera e propria comunità veneta nella Gailtal; solo nuove ricerche potranno chiarirlo. Le Alpi non erano quindi un ostacolo insuperabile, ma bensì un luogo di incontro e di scambio, dove diverse culture si confrontavano. La posizione di confine tra le aree venetiche (Altino alla foce di un paleoalveo del Piave ), celtiche (Gurina nella valle della Gail), retiche (Sanzeno in val di Non) favoriva gli scambi e le influenze con i Reti, i Celti e l’area fino all’Istria, che sono ben documentate dai bronzetti, dalle armi, dai corredi funerari e dai materiali di Lagole per i riti.

L’ETÀ ROMANA

Strada romana di Lozzo di Cadore

Decidere quando e come i Veneti (Cadorini) vennero “romanizzati” non è un’impresa semplice; se da una parte le ultime scoperte archeologiche hanno dimostrato che la moneta romana cominciò a circolare già nel II a. C., dall’altro lato hanno anche dimostrato una coesistenza dei reperti veneti con quelli romani almeno fino al II d.C. e lo stesso vale per la scrittura. Lo scavo del monte Calvario ha rimesso in discussione la data della sostituzione della scrittura venetica con il latino (ca. I a. C.); oggetti iscritti in venetico sono in strato con monete del II d.C. Questa situazione sembrerebbe confermata da una patera (piatto) del II sec. D.C. trovata in Carnia con un’iscrizione in venetico. Andrebbe forse rivista anche la questione dei materiali di Lagole, dove si trovavano reperti romani in strati inferiori a quelli veneti; forse non si trattava di crolli degli strati gessosi ma di un uso degli oggetti venetici molto più prolungato nel tempo. La persistenza del venetico nell’area alpina potrebbe essere spiegata con il suo uso in un’area molto estesa, che andava dal Veneto all’Austria e all’Istria comprendendo tutto il Friuli Venezia Giulia; una lingua e scrittura che permetteva di commerciare a popolazioni di etnia diversa e che quindi non poteva essere sostituita facilmente dal latino. Una durata maggiore del venetico consentirebbe inoltre di spiegare la nascita della scrittura runica, come già ipotizzato dal professor Prosdocimi. I contatti con l’Austria sono dimostrati dagli oboli del Norico (piccole monete in argento usate dal I a.C. al I d.C.), scoperte nel santuario del Calvario, a Lagole, Castellavazzo, monte Altare (Vittorio Veneto), Villa di Villa (Cordignano), e in vari siti fino ad Altino. Si delinea un percorso che segue il Piave per poi passare nel Cansiglio per sbucare nella pianura veneta. Tale percorso, oltre ad essere più breve di quello per la Valbelluna e Feltre, consentiva di rimanere nei territori controllati dai Veneti senza incontrare i Reti. D’altra parte la presenza di denari d’argento romani, la paga del legionario, fin dal II a. C. ad Auronzo, Lozzo, Pieve, testimonia i precoci contatti con Roma. Va anche segnalata la presenza di una moneta di Tolomeo V (204-180 a.C.) ad Auronzo (Gianni Pais), indice di commerci con Aquileia che fu dalla fondazione (181 a.C.) il porto preferito per i commerci con Alessandria d’Egitto (Gorini). Abitazioni di tipo romano sono attestate dal I d.C. a Pieve, Valle e Lozzo, fra cui alcune con riscaldamento ad ipocausto, indice di ricchezza. L’unica gens attestata in Cadore, grazie alla lapide trovata a Valle, è quella dei Saufei, appartenenti alla tribù Claudia. I Saufei provenivano da Preneste (Lazio) ed erano la famiglia più importante della città almeno fino alla guerra civile (82 a.C.); in seguito non si trovano più esponenti della famiglia in incarichi importanti. Un ramo della gens si trasferì a Roma, dove un Lucio Saufeio fu nominato magistrato monetale (165-150 a.C.). Al museo di Pieve alla fine dell’Ottocento era esposta una sua moneta (Antonio Genova, vedi bibliografia) trovata in Cadore, un’altra è stata rinvenuta a Sedico. A Roma in età repubblicana non raggiunsero spesso incarichi di rilievo (due tribuni e un questore). La gens si dedicò poi ai commerci; i Saufei erano presenti a Delo, Minturno, Atene, Toscana e si occupavano di vari commerci, fra cui quello degli schiavi. In età imperiale sono presenti ad Aquileia, Verona, Vicetia, Tarvisium, Patavium, Altinum. L’iscrizione di Valle è stata datata al II sec. D.C., il che non esclude che i Saufei fossero presenti ben prima sul posto. Vista la lapide si ritiene che il nostro territorio facesse parte anche del municipium di Iulium Carnicum, che era assegnato alla tribù Claudia. Non esiste però nessuna iscrizione che colleghi direttamente il Cadore a Iulium Carnicum, tant’è che lo il prof. Carlo Anti ipotizzò che a Valle fosse situato il municipium di Berua, che non è ancora stato rintracciato. Quando si trovò un’iscrizione che sembrava assegnare Berua alla tribù Scapzia il discorso sembrava chiuso; si disse che le possibili sedi erano Vicenza o Bolzano. Ma recentemente un’altra iscrizione ha definitivamente assegnato Berua alla tribù Claudia, eliminando il conflitto con la lapide di Valle. Un altro indizio sono le iscrizioni confinarie sul Civetta che riportano FIN-IUL-BEL ( confine tra Iulienses e Bellunati). Pochi anni fa il prof. Gregori ha ipotizzato altre spiegazioni per queste iscrizioni e ha ritenuto non sufficientemente provata l’appartenenza del Cadore a Iulium Arnica. In ogni caso va sottolineato che la grande distanza (fino a km.70) fra il nostro territorio e il municipium avrebbe comunque portato a concedere una qualche forma di autonomia nell’amministrazione. Probabilmente una delle maggiori fonti di guadagno per il Cadore era il legname, dal momento che le grandi strutture termali richiedevano quantità enormi di legname; l’iscrizione di Belluno su Carminio Pudente, protettore dei dendrofori (trasportatori di legname) e dei Catubrini lo dimostra. L’allevamento di ovicaprini, bestiame, cavalli è dimostrato dai reperti ossei del monte Calvario e di Lagole; non sono presenti pollame e maiali. Gli animali selvatici fornivano le pelli e le pecore la lana, le mucche il latte. L’agricoltura dava magri raccolti di foraggio e probabilmente molta frutta, fra cui grappoli d’uva. Probabilmente gli uomini migliori diventavano soldati di professione e, se ritornavano, portavano piccole ricchezze. Lo sfruttamento dei giacimenti minerari è attestato dal 50 a.C. dall’indagine della torbiera di Coltrondo (M. Segnana e altri), ma nei secoli successivi i romani preferivano importare quantità enormi di metalli dall’estero, come tasse o a prezzi molto bassi e gli esami del prof. Molin dell’università di Padova sul lingotto in piombo del monte Calvario lo dimostrano con certezza, sia pure per un’epoca tarda (158 D.C.). Poi cominciano gli attacchi dei “barbari” al limes e le Alpi diventano per i Romani una trincea. Nel 260 l’imperatore Gallieno decide di fortificare le montagne, probabilmente con una serie di torri di avvistamento e piccole guarnigioni, che dovevano avvisare la pianura in tempi rapidissimi e permettere di preparare le difese. La presenza di queste guarnigioni sicuramente portò un certo guadagno alle popolazioni locali, oltre ad un minimo di protezione. Infatti non risultano tracce archeologiche di distruzioni in Cadore; le strutture di età romana sembrano tutte abbandonate e spogliate già in antico. Rimangono dei dubbi sulla situazione dei santuari pagani; abbandonati o distrutti con l’avvento dei cristiani? Le leggende sugli scontri tra pagani e cristiani sembrerebbero portare verso la seconda ipotesi, ma le prove archeologiche ancora non sono evidenti. Per quanto riguarda le vie di comunicazione non prendiamo posizione sulla Claudia Augusta ( da Altino al Danubio); ci limitiamo a notare che una via dalle nostre montagne ad Altino lungo il paleoalveo del Piave esisteva da molto prima dei Romani e che era ovvio migliorare le piste esistenti piuttosto che costruirne di nuove (vedi le scoperte sulla via Annia), che i Saufei, gens di commercianti, sono attestati in Cadore e ad Altino, che lungo la Valsugana i reperti archeologici diminuiscono proprio nel periodo in cui la Claudia Augusta dovrebbe attraversarla, che il de Bon le sue ricerche le ha fatte sul campo, ecc. Detto questo comprendiamo che i finanziamenti miliardari ottenuti con i progetti europei non aiutano a una discussione serena; come sempre saranno le scoperte archeologiche a chiudere la questione.

IL MEDIOEVO

Castello di Pieve di Cadore

Negli ultimi anni gli storici hanno sempre più contestato il 472 come data d’inizio del Medioevo, dal momento che in realtà l’impero romano come ente che controllava il territorio scompare molto prima in molte zone d’Italia. Da questo punto di vista non abbiamo molte indicazioni archeologiche o letterarie per il Cadore; le monete del V secolo sono davvero poche, il che farebbe pensare che l’esercito romano non fosse più qui. Le leggende sulle distruzioni di Attila a Gogna, Pieve e in altre località, lascerebbero pensare che qualche passaggio di popolazioni “barbare” ci sia stato; il recente scavo di Gogna (Auronzo) sta dimostrando la presenza di forti e guarnigioni straniere.

Castello di Botestagno, Ampezzo di Cadore

Le abitazioni romane appaiono abbandonate già nel IV secolo a Lozzo, Pieve e Valle; solo la casa di piazza Vigo e lo scavo di piazza Santa Giustina ad Auronzo testimoniano la continuità dell’insediamento e di rapporti con il Norico. Alcuni studi recenti in Carnia hanno ipotizzato che con l’aumento del pericolo di invasioni nel Norico una parte della popolazione si sia progressivamente spostata sull’altro versante delle Alpi, facendo aumentare i residenti. (Archeo ). L’influenza longobarda nel VI-VII secolo è dimostrata dai materiali delle sepolture di Domegge, Pieve ed Auronzo, che pure sembrano di popolazioni locali. Recentemente Giovanni Zandegiacomo Seidelucio ha “riscoperto” la notizia di una necropoli a Valle di Cadore con materiali sicuramente longobardi come le fibule a S (R. Battaglia). Se poi il Cadore appartenesse o no a qualche ducato è materia di discussione. Alcune fonti narrano di un vescovado ad Auronzo, ma non è provato. Alla fine dell’ottavo secolo i Franchi conquistano il Veneto; il territorio viene diviso in marche e contee ma anche in questo caso abbiamo ben poche notizie sulla nostra zona. Nel 923 Berengario I assegna al vescovo di Belluno le decime del Cadore, riscosse dalla chiesa di san Salvatore. In un diploma dell’imperatore Ottone II databile tra il 923 e il 974, ritenuto falso, ma in realtà autentico con delle frasi fasulle inserite successivamente, è contenuta la prima citazione del comitato del Cadore (Dolcini in “Uso dei valichi alpini orientali dalla preistoria ai pellegrinaggi medievali”). Nel 1138 Alberto da Collalto nel testamento assegnò al parente Guecellone da Camino il blocco affineato delle curie di Cordignano, Belluno, Cadore. Prima del 1140 vengono creati nel monastero di San Candido vengono creati i falsi diplomi di Ottone I e Tassilone, che citano toponimi cadorini. Lo scopo di questi falsi è di inventare le basi giuridiche per acquisire il Cadore. La mossa riesce; nel diploma di Corrado III del 1140 si cita per la prima volta la nostra contea che viene assegnata a Ottone, vescovo di Frisinga e abate di San Candido. Nel 1155 il castello di Pieve viene ceduto da Frisinga a Guecello da Camino ma scoppia un contenzioso. Nella dieta di Modena del 1159 un giudice dell’imperatore Federico Barbarossa obbliga i da Camino a restituire il Cadore a Frisinga.Ma il 2/9/1160 l’inviato di Frisinga cede nuovamente il territorio ai da Camino che nel 1175 acquistano il castello di Botestagno da Rampreto, signore di Welsberg ( Pusteria). La prima menzione di diritti caminesi sul Comelico è del 1186; nel 1235 i Da Camino promulgano gli statuti delle Regole cadorine. A questo punto il loro dominio sembrerebbe completo.Tuttavia secondo la Collodo almeno una parte del Comelico fino al 1330 potrebbe essere stato ancora sotto il dominio del vescovo di Frisinga tramite il monastero di San Candido in quanto la chiesa di Santa Maria di Candide, già presente almeno dal 1186, non rientra negli elenchi delle chiese cadorine. Fra l’altro il toponimo Candide lascerebbe intendere stretti contatti con San Candido. Il recente scavo archeologico a Candide ha confermato la presenza di una chiesa precedente e con arredi importanti. Nel 1337, due anni dopo la morte dell’ultimo Rizzardo la comunità cadorina scelse di darsi a Carlo e Giovanni di Lussemburgo, padroni del Tirolo e signori di Feltre e Belluno. Nel 1347 il Patriarcato di Aquileia occupa militarmente il territorio fino al 1420, quando il Cadore si sottomette alla Repubblica di Venezia


 

APPUNTI SULLA STORIA ARCHEOLOGICA DEL CADORE E SUI RITROVAMENTI

La presenza stagionale è accertata a cominciare dal Mesolitico (VI millennio A.C.) con la scoperta dell’uomo di Mondeval e del suo notevole corredo. I ritrovamenti di selci datati al VII-V millennio A.C. sul Passo Falzarego , sul Passo di Valparola e sul Passo Giau ce lo testimoniano. La recente scoperta (1999) di alcuni manufatti in selce di chiara tipologia mesolitica (8000-4500 A.C.) in un’area umida a una quota di 2085 metri a Val Visdende in località Coston della Spina da parte di Catello, Cesco Frare e Villabruna, allarga ulteriormente l’area di ricerca. Nell’anno seguente gli stessi ricercatori, su pianori erbosi situati al limitare dell’area boschiva a Pian dei Buoi, a Dignas e in val Digon, hanno recuperato materiali mesolitici dimostrando che l’intero Cadore ad alta quota era ben conosciuto dagli antichissimi cacciatori che qui trovavano le migliori occasioni di riempire il loro carniere.


Nella val Fiorentina per la prima volta nel Veneto è stata documentata la presenza di siti stagionali d’alta quota dell’eneolitico (ca. 3000 A.C.). Nel Museo di Selva di Cadore sono custoditi frammenti di vasi della terza fase delle Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, scodelle e strumenti litici e una grande olla. Sul passo Mauria e a Venas sono stati rinvenuti due martelli in pietra che la Carta Archeologica del Veneto data al la metà del III-metà del II millennio A.C. Bisogna poi andare ai ritrovamenti di Crodola a Domegge ; un falcetto e un’ascia ad alette bronzei datati al bronzo recente-bronzo finale (XIII-XII secolo A.C.). Nel 1996 lo scavo del supermercato di Tai ha portato alla luce a m.1,7 di profondità alcune buche di palo su un suolo antropizzato con frammenti ceramici datati al IX-X secolo A.C. (forse un villaggio?). La recente indagine a Pozzale sembra portarci verso lo stesso periodo. Ma è nel V-IV secolo A.C. che si trovano le tracce di diffusi e importanti insediamenti in Cadore; i motivi potrebbero andare ricercati nella abbondante presenza di minerali e di legname di ottima qualità oltre alla posizione di confine tra le aree venetiche (Altino alla foce di un paleoalveo del Piave ), celtiche (Gurina nella valle della Gail), retiche (Sanzeno in val di Non). Gli scambi e le influenze con i Reti, i Celti e l’area fino all’Istria sono ben documentate dai bronzetti, dalle armi, dai corredi funerari e dai materiali di Lagole per i riti. Reperti sono segnalati a Valle, Pieve, Lozzo, Calalzo, Domegge, Auronzo; le necropoli scoperte a Lozzo , Pozzale e Valle testimoniano l’occupazione di tutto il Centrocadore. Il luogo di culto di Lagole, attivo dal IV A.C. al IV D.C., probabilmente fu il punto d’incontro e di commercio di tutto il Cadore. Il monte Calvario ad Auronzo, attivo quantomeno dal II A.C. al III D.C., e la stipe votiva di Rusecco a Valle dimostrano che i culti erano diversificati, con influenze esterne ben prima dell’arrivo ufficiale dei Romani. Le numerose iscrizioni in tutto il territorio del Cadore (ultime in ordine di tempo quelle di San Vito a 2000 metri di quota) fanno pensare a insediamenti con un ordinamento sociale e religioso complesso, tale da richiedere l’uso della scrittura. Le sepolture diversificate presenti nelle necropoli cadorine, alcune con stele iscritte e altre con corredi molto ricchi, dimostrano una gerarchia.

Un’altra testimonianza di una struttura sociale complessa sono le numerose armi ritrovate sia nelle sepolture che in altri contesti. Uno studio della dottoressa Gambacurta sull’elmo di Vallesella afferma che si trattava di una tipologia locale con influenze celtiche d’oltralpe, lasciando quindi immaginare una attività metallurgica in loco già nel IV A.C., come d’altronde gli esami del prof. Molin dell’università di Padova sugli oggetti in metallo del monte Calvario dimostrano con certezza, sia pure per un’epoca molto più tarda (II D.C.). Sicuramente c’erano contatti con la valle della Gail, come dimostrano le lamine bronzee iscritte in venetico ritrovate poco sotto il Monte Croce Carnico contenenti probabilmente un ringraziamento a una divinità per l’avvenuto passaggio delle Alpi e gli oboli del Norico (piccole monete in argento usate dal I A.C. al I D.C.), scoperte nel santuario del Calvario e a Lagole. Vista la situazione orografica è possibile ipotizzare altri valichi verso la Gailtal, sia da Sappada che da val Visdende, che da val Digon. Mentre tempo fa si spiegava l’insediamento di Gurina per la presenza di minerali, oggi si aggiunge che era fondamentale una linea commerciale che dalla Germania portava fino all’Italia. Il culto di Ercole, dio dei commercianti, comune a entrambi i santuari, è un altro interessante indizio. Resta il dubbio se ci fosse una vera e propria comunità veneta nella Gailtal; solo nuove ricerche potranno chiarirlo. Se pensiamo che ad Auronzo, Lagole, Castellavazzo, monte Altare (Vittorio Veneto), Villa di Villa (Cordignano) si sono trovate monete d’argento del Norico ecco che si delinea un percorso che segue il Piave per poi passare nel Cansiglio per sbucare nella pianura veneta. Tale percorso, oltre ad essere più breve di quello per la Valbelluna e Feltre, consentiva di rimanere nei territori controllati dai Veneti senza incontrare i Reti. Le Alpi non erano quindi un ostacolo insuperabile, ma bensì un luogo di incontro e di scambio, dove diverse culture si confrontavano.

Decidere quando e come i Veneti (Cadorini) vennero “romanizzati” non è un’impresa semplice; se da una parte le ultime scoperte archeologiche hanno dimostrato che la moneta romana cominciò a circolare già nel II sec. A. C., dall’altro lato hanno anche dimostrato una coesistenza dei reperti veneti con quelli romani almeno fino al II sec. D.C. e lo stesso vale per la scrittura. Andrebbe quindi rivista anche la questione dei materiali di Lagole, dove si trovavano reperti romani in strati inferiori a quelli veneti; forse non si trattava di crolli degli strati gessosi ma di un uso degli oggetti venetici molto più prolungato nel tempo. Lo scavo del monte Calvario ha rimesso in discussione la data della sostituzione della scrittura venetica con il latino (ca. I sec. A. C.); oggetti iscritti in venetico sono in strato con monete del II sec.D.C. Questa situazione sembrerebbe confermata da una patera (piatto) del II sec. D.C. trovata in Carnia con un’iscrizione in venetico. La persistenza del venetico nell’area alpina potrebbe essere spiegata con il suo uso in un’area molto estesa, che andava dal Veneto all’Austria e all’Istria comprendendo tutto il Friuli Venezia Giulia; una lingua e scrittura che permetteva di commerciare a popolazioni di etnia diversa e che quindi non poteva essere sostituita facilmente dal latino. Una durata maggiore del venetico consentirebbe inoltre di spiegare la nascita della scrittura runica, come già ipotizzato da alcuni studiosi. D’altra parte la presenza di denari d’argento romani, la paga del legionario, fin dal II sec. A. C. ad Auronzo, Lozzo, Pieve, testimonia i precoci contatti con Roma. Va anche segnalata la presenza di una moneta di Tolomeo V (204-180 a.c.) ad Auronzo (Gianni Pais), indice di commerci con Aquileia che fu dalla fondazione (181 a.c.) il porto preferito per i commerci con Alessandria d’Egitto (Gorini). Abitazioni di tipo romano sono attestate dal I sec.d.c. a Pieve, Valle e Lozzo, fra cui alcune con riscaldamento ad ipocausto, indice di ricchezza. L’unica gens attestata in Cadore, grazie alla lapide trovata a Valle, è quella dei Saufei, appartenenti alla tribù Claudia. I Saufei provenivano da Preneste (Lazio) ed erano la famiglia più importante della città almeno fino alla guerra civile (82 a.c.); in seguito non si trovano più esponenti della famiglia in incarichi importanti. Un ramo della gens si trasferì a Roma, dove un Lucio Saufeio fu nominato magistrato monetale (165-150 a.c.). Al museo di Pieve alla fine dell’Ottocento era esposta una sua moneta (Antonio Genova, vedi bibliografia) trovata in Cadore, un’altra è stata rinvenuta a Sedico.

A Roma in età repubblicana non raggiunsero spesso incarichi di rilievo (due tribuni e un questore). La gens si dedicò poi ai commerci; i Saufei erano presenti a Delo, Minturno, Atene, Toscana e si occupavano di vari commerci, fra cui quello degli schiavi. In età imperiale sono presenti ad Aquileia, Verona, Vicetia, Tarvisium, Patavium, Altinum. L’iscrizione di Valle è stata datata al II sec. D.C., il che non esclude che i Saufei fossero presenti ben prima sul posto. Vista la lapide si ritiene che il nostro territorio facesse parte anche del municipium di Iulium Carnicum, che era assegnato alla tribù Claudia. Non esiste però nessuna iscrizione che colleghi direttamente il Cadore a Iulium Carnicum, tant’è che lo il prof. Carlo Anti ipotizzò che a Valle fosse situato il municipium di Berua, che non è ancora stato rintracciato. Quando si trovò un’iscrizione che sembrava assegnare Berua alla tribù Scapzia il discorso sembrava chiuso; si disse che le possibili sedi erano Vicenza o Bolzano. Ma recentemente un’altra iscrizione ha definitivamente assegnato Berua alla tribù Claudia, eliminando il conflitto con la lapide di Valle. Un altro indizio sono le iscrizioni confinarie sul Civetta che riportano FIN-IUL-BEL ( confine tra Iulienses e Bellunati). Pochi anni fa il prof. Gregori ha ipotizzato altre spiegazioni per queste iscrizioni e ha ritenuto non sufficientemente provata l’appartenenza del Cadore a Iulium Carnicum. In ogni caso va sottolineato che la grande distanza (fino a km.70) fra il nostro territorio e il municipium avrebbe comunque portato a concedere una qualche forma di autonomia nell’amministrazione. Probabilmente una delle maggiori fonti di guadagno per il Cadore era il legname, dal momento che le grandi strutture termali richiedevano quantità enormi di legname; l’iscrizione di Belluno su Carminio Pudente, protettore dei dendrofori (trasportatori di legname) e dei Catubrini lo dimostra. L’allevamento di ovicaprini, bestiame, cavalli è dimostrato dai reperti ossei del monte Calvario e di Lagole; non sono presenti pollame e maiali. Gli animali selvatici fornivano le pelli e le pecore la lana, le mucche il latte. L’agricoltura dava magri raccolti di foraggio e probabilmente molta frutta, fra cui grappoli d’uva. Probabilmente gli uomini migliori diventavano soldati di professione e, se ritornavano, portavano piccole ricchezze. Lo sfruttamento dei giacimenti minerari non è attestato, i romani preferivano importare quantità enormi di metalli dall’estero, come tasse o a prezzi molto bassi. Ma poi cominciano gli attacchi dei “barbari” al limes e le Alpi diventano per i Romani una trincea. Nel 260 l’imperatore Gallieno decide di fortificare le Alpi, probabilmente con una serie di torri di avvistamento e piccole guarnigioni, che dovevano avvisare la pianura in tempi rapidissimi e permettere di preparare le difese. La presenza di queste guarnigioni sicuramente portò un certo guadagno alle popolazioni locali, oltre ad un minimo di protezione. Infatti non risultano tracce archeologiche di distruzioni in Cadore; le strutture di età romana sembrano tutte abbandonate e spogliate già in antico. Rimangono dei dubbi sulla situazione dei santuari pagani; abbandonati o distrutti con l’avvento dei cristiani? Le leggende sugli scontri tra pagani e cristiani sembrerebbero portare verso la seconda ipotesi, ma le prove archeologiche ancora non sono evidenti. Per quanto riguarda le vie di comunicazione non prendiamo posizione sulla Claudia Augusta ( da Altino al Danubio); ci limitiamo a notare che una via dalle nostre montagne ad Altino lungo il paleoalveo del Piave esisteva da molto prima dei Romani e che era ovvio migliorare le piste esistenti piuttosto che costruirne di nuove (vedi le scoperte sulla via Annia), che i Saufei, gens di commercianti, sono attestati in Cadore e ad Altino, che lungo la Valsugana i reperti archeologici diminuiscono proprio nel periodo in cui la Claudia Augusta dovrebbe attraversarla, che il de Bon le sue ricerche le ha fatte sul campo, ecc. Detto questo comprendiamo che i finanziamenti miliardari ottenuti con i progetti europei non aiutano a una discussione serena; come sempre saranno le scoperte archeologiche a chiudere la questione.
Negli ultimi anni gli storici hanno sempre più contestato il 472 come data d’inizio del Medioevo, dal momento che in realtà l’impero romano come ente che controllava il territorio scompare molto prima in molte zone d’Italia. Da questo punto di vista non abbiamo molte indicazioni archeologiche o letterarie per il Cadore; le monete del V secolo sono davvero poche, il che farebbe pensare che l’esercito romano non fosse più qui. Le leggende sulle distruzioni di Attila nel 452 a Gogna, Pieve e in altre località, lascerebbero pensare che qualche passaggio di popolazioni “barbare” ci sia stato, ma non sono rimaste evidenze archeologiche di questo. Le abitazioni romane appaiono abbandonate già nel IV secolo a Lozzo, Pieve e Valle; solo la casa di piazza Vigo e lo scavo di piazza Santa Giustina ad Auronzo testimoniano la continuità dell’insediamento e di rapporti con il Norico. Alcuni studi recenti in Carnia hanno ipotizzato che con l’aumento del pericolo di invasioni nel Norico una parte della popolazione si sia progressivamente spostata sull’altro versante delle Alpi, facendo aumentare i residenti. (Archeo n.). Della presenza di Goti nel V secolo non ci sono prove, mentre l’influenza longobarda nel VI-VII secolo è dimostrata dai materiali delle sepolture di Domegge, Pieve ed Auronzo. Se poi il Cadore appartenesse o no a qualche ducato è materia di discussione. Alcune fonti narrano di un vescovado ad Auronzo, ma non è provato. Alla fine dell’ottavo secolo i Franchi conquistano il Veneto; il territorio viene diviso in marche e contee ma anche in questo caso abbiamo ben poche notizie sulla nostra zona. Nel 923 Berengario I assegna al vescovo di Belluno le decime del Cadore, riscosse dalla chiesa di san Salvatore. In un diploma di Ottone II databile tra il 923 e il 974, ritenuto falso, ma in realtà autentico con delle frasi fasulle inserite successivamente, è contenuta la prima citazione del comitato del Cadore (Dolcini in “Uso dei valichi alpini orientali dalla preistoria ai pellegrinaggi medievali”). Prima del 1140 vengono creati i falsi diplomi di Ottone I e Tassilone, che citano toponimi cadorini. Nel diploma di Corrado II del 1140 si cita per la prima volta la nostra contea. Nel 1175 i Da Camino acquistano Botestagno da Rampreto, signore di Welsberg ( Pusteria). La prima menzione di diritti caminesi sul Comelico è del 1186; nel 1235 i Da Camino promulgano gli statuti delle regole cadorine. A questo punto il loro dominio è completo. Poi subentra il Patriarcato di Aquileia che dura fino al 1420, quando il Cadore si sottomette alla Repubblica di VeneziaFino a dieci anni fa la val d’Ansiei non aveva evidenze archeologiche che potessero far pensare ad un popolamento in età romana ne tantomeno prima. Benchè uno storico del 1600, Giovanni Candido, nel resoconto di un suo viaggio tra Friuli e Cadore, scrivesse “Auronzo dove molte vestigia d’antichità veggonsi” la memoria ne era scomparsa. Alcune monete romane da M. Aburio (129 a.c..) a Gallieno (260 d.c.-268 d.c.) senza contesto e una notizia di una punta di lancia celtica a Gogna non consentivano agli storici locali di pensare a insediamenti; solo il de Bon ne pareva convinto e in seguito Gianni Pais. Seguendo appunto le indicazioni del Pais il Gruppo cominciò a sorvegliare i lavori in alcune aree; e fu così che presso la casa Molin in via Tarin, grazie alla benevolenza del proprietario, si trovarono le prime prove di strutture di età romana. Da quel momento le scoperte si susseguirono con ritmo incalzante, fino a delineare un quadro assolutamente inedito; oggi possiamo affermare che la val d’Ansiei (toponimo che non ha ancora spiegazione) era abitata sicuramente fin dal 200 a.c. e che continuò ad esserlo ininterrottamente fino ad oggi. La scoperta del santuario del monte Calvario fa pensare che l’insediamento preromano principale fosse fra piazza Santa Giustina e il monte, ma che comunque lungo la valle ci fossero più nuclei abitativi, come la scoperta di Giuseppe Pais a Gogna lascia supporre. I racconti popolari parlavano anche del “porteà (cimitero) dei pagane” a Malon (m.1300); le ricerche di Elio Vecellio Galeno hanno dato la conferma archeologica, dal momento che sono stati rinvenuti frammenti di vasi in terracotta che sono allo studio in Soprintendenza. Nel sito sono visibili imponenti muri a secco che circondano un rialzo del terreno che domina le scarpate sottostanti, mentre su un lato presentano imponenti terrazzamenti (fino a m.3 di altezza) la cui origine era sconosciuta tanto che si decise di chiamarli “i altare dei pagane”. Si dice anche che nelle vicinanze esista “la pera dei pagane” con incisioni e disegni; le ricerche non hanno dato esito. Si racconta che fosse anche visibile il percorso “dell’acquedotto dei pagane” fatto con tronchi d’albero scavati e sistemati su un sentiero con pendenza costante. L’unico reperto esistente era una moneta di Giulia Mamea (253 d.c.), trovato nel 1932. Se per il periodo protostorico ci sono molte incertezze sugli abitati, per quello romano si sa ormai con certezza che tutta l’area da piazza Santa Giustina a piazza Vigo, dove è stata rinvenuta un’abitazione romana grazie alla sorveglianza del Gruppo, era abitata; le strutture di grandi dimensioni di Santa Giustina con la strada acciottolata fanno pensare che lì fosse il centro dell’insediamento. Un reperto interessante che può far ipotizzare un controllo dei valichi ad alta quota è segnalato nel libro di Gianni Pais “Auronzo terra di frontiera”; si tratta probabilmente di un fermamantello da portare sul petto. Interessanti sono anche le monete di Villapiccola; presso la chiesa sono state rinvenute, durante la costruzione della chiesa, 6 monete di bronzo che coprono tre secoli (27 a.c-211 d.c.), indizio o di un tesoretto o di un abitato. Quasi di fronte alla chiesa, dall’altra parte del lago, venne ritrovata una moneta di Augusto durante i lavori di costruzione della strada lungolago; un testimone ci ha raccontato che non si trattò di un rinvenimento casuale ma che si era distrutto un tumulo di pietre che conteneva anche ossa umane. Probabilmente si trattava di una sepoltura; purtroppo non si fece caso se ci fossero stati frammenti di vasi o armi.
Fonte: elaborazione Giovanni Zandegiacomo su dati da Jacopo Marcer.
Nota 1: nel computo è stata inserita una moneta tolemaica (205-180 a.c.) trovata a Tarin e pubblicata da Gianni Pais Becher.
Nota 2: le monete del Norico vanno considerate tra I A.C.-I D.C., in attesa di studi più precisi.
Pur nei limiti della documentazione va notato che dal I a.C. al I D.C. si raggiungono i picchi dei rinvenimenti, a cui segue una flessione nel II D.C. Nel III e nel IV D.C. i numeri rimangono costanti mentre dal V in poi non ci sono dati.