VALLE DEL BOITE, appunti della storia archeologica e dei ritrovamenti

(Ultimo aggiornamento 01 maggio 2020)

G. Zandegiacomo S.

Fino a pochi anni fa la val del Boite era quasi priva di testimonianze archeologiche; una moneta romana bronzea a Cortina di Traiano (98-117 d.c.) con altri manufatti non raccolti, una d’oro di Zenone Isaurico (474-476 d.c.) a San Vito, una statua di bronzo alta cm. 20 a Vodo. Da Vodo parte la strada che conduce a Zoppè, dove la leggenda vuole ci fosse un altro “cimitero dei pagani” a Chiandolada, ma le ricerche condotte già nell’Ottocento non avevano avuto esito. La posizione di Zoppè, a cavallo tra la val Zoldana, il Cadore e la val Fiorentina, poteva essere utile per i commerci, soprattutto di metalli. Inoltre la leggenda vuole che in località Fies (Zoppè) ci fosse un castello. A Borca è presente il toponimo Sotciastel lungo un sentiero che può condurre anche a Zoppè. L’area della sinistra del Boite ha molte leggende su antichi abitati, che avrebbero accolto i fuggitivi dalla caduta dell’abitato di Gogna (Auronzo), dove Giuseppe Pais ha dimostrato con i recenti scavi che le narrazioni popolari hanno un fondo di realtà. La sorveglianza del territorio del nostro iscritto Daniele Lucia e delle Regole ha portato a importanti novità; prima fra tutte le due iscrizioni venetiche da Mondeval. Poi nel 2008 e nel 2009 due nuove scoperte hanno portato alla certezza della presenza di un insediamento di età romana a San Vito; entrambe sono avvenute grazie alla sorveglianza del territorio dei cittadini. La prima scoperta è avvenuta durante i lavori per la rettifica della statale Alemagna ed è venuta alla luce un abitazione romana; la seconda durante dei lavori per una strada verso le seggiovie ha fatto emergere i resti di un villaggio tardo antico. Poi i lavori di restauro della chiesa di San Floriano hanno restituito ulteriori prove; l’edificio sacro si appoggiava su abitazioni tardo antiche. Successivamente è nato il progetto CEDNEA ( Centro Espositivo e di Documentazione Naturalistica, Etnografica e Archeologica) una collaborazione tra l’Union Ladina d’Oltreciusa, Amministrazione comunale e Regole di San Vito di Cadore, che ha portato alla mappatura delle evidenze storiche di San Vito; il sito più interessante è stato giudicato Prà Comun, sul passo Giau, che è stato scavato nel 2019. I risultati preliminari sono confortanti; sono state trovate le prove di varie frequentazioni del sito, nel Mesolitico, nella protostoria e nel V-VII d.C. Maggiori informazioni sul sito http://www.cednea.it/ ; i primi 4 video sono dello scavo 2019. Sono state scoperte anche due monete romane a Vinigo e molti siti preistorici.

A Cortina d’Ampezzo poche novità; sono state fatte alcune campagne di scavo a Bottestagno ed è emerso un frammento di ceramica a vernice nera (età romana) ma senza contesto.

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IL VILLAGGIO ROMANO DI SAN VITO
Sono state rinvenute durante dei lavori presso la strada che conduce alla partenza della seggiovia delle stratificazioni nerastre lunghe un centinaio di metri alla profondità di tre metri con presenza di frammenti di terracotta antica. Sono presenti anche buche di palo e quindi si suppone la presenza di un villaggio sul conoide alluvionale sepolto da una frana. L’indagine archeologica successiva ha confermato questa ipotesi portando anche al ritrovamento di grandi quantità di terracotta scaricate in buche (cosidetti butti ). Sembra che le abitazioni fossero sopraelevate da terra con dei pilastrini in pietra (come nei tabià) mentre le aree di lavorazione poggiavano sulla terra con strutture in legno.

L’ABITAZIONE ROMANA DI SAN VITO
Il signor Dario dall’Olio ha notato una stratificazione di terreno nerastro ed ha avvisato il funzionario della Soprintendenza Eugenio Padovan, che è prontamente intervenuto sul posto. Sono stati subito rinvenuti dei frammenti di terracotta antichi e i resti di strutture in sezione. La ditta Pacitti ha eseguito lo scavo archeologico con ottimi risultati; sono emersi i resti di una struttura di età imperiale, visto il ritrovamento sul pavimento di una moneta in bronzo del IV secolo D.C. , un orecchino di bronzo e frammenti di terracotta. La presenza di legni carbonizzati fa pensare ad un incendio come motivo dell’abbandono. La casa ha un pavimento in battuto di malta ed è parzialmente sventrata dall’azione della ruspa.

LA CHIESA DI SAN FLORIANO A SAN VITO
La ex chiesa di San Floriano si trova a Chiappuzza, sulla via Regia. Le Regole di san Vito hanno deciso il restauro del rudere e le sorprese non son mancate. Probabilmente è stata la prima chiesa della val Boite. La prima notizia scritta della chiesa è del 1277. Nella prima campagna di scavo nel 2006 si sono potute documentare le varie fasi della chiesa. Nella seconda indagine del 2009 al di sotto dei ruderi è stato scoperto un abitato che è stato attivo dal tardo antico all’Alto Medioevo. Un reperto datante è una moneta del 250-300 d. C. Il villaggio era stato distrutto e sepolto al momento della costruzione della chiesa. Maggiori informazioni a https://issuu.com/architetturahirschstein/docs/28_san_floriano_relazione_storica_baldin__2010__f_


LA STATUA DI VODO

La statua è senz’altro il reperto più interessante; fu trovata ai piedi del col Tondo o anche detto col Bonel durante dei lavori per una segheria. Inizialmente fu ritenuta un falso, in quanto priva di contesto, e venne genericamente catalogata come Vittoria alata e trattenuta presso la Soprintendenza di Padova. La garbata richiesta della nostra iscritta Antonia Pinazza di esporla presso il museo di Pieve è stata accolta dall’ente di tutela e un riesame del reperto ha portato a scoprire che il personaggio raffigurato teneva per mano un’altra persona, portando quindi a ipotizzare che si trattasse di un Lare, divinità molto spesso presenti negli incroci di strade. Il luogo della scoperta in effetti è posto lungo il percorso dell’antica Via Regia, usata già dal Medioevo. Nel 2015 è stata commissionata dalla Magnifica Comunità di Cadore la schedatura dell’oggetto per accertarne la veridicità. Il lavoro per il momento non ha portato a conclusioni definitive. Ci sono elementi comuni a statue romane ma ci sono anche singolarità che lasciano adito a dubbi. L’esame del metallo non ha risolto il problema.


clicca qui per la relazione della Soprintendenza sul restauro del bronzetto alato di Vodo di Cadore, 2020


LE ISCRIZIONI VENETICHE DI MONDEVAL
L’assoluta mancanza di reperti preromani è stata recentemente smentita dalle scoperte degli appassionati ricercatori locali, fra cui i nostri iscritti Daniele Lucia, del Favero Lino e Belli Corrado. Sono state inizialmente rinvenute nell’area di Mondeval due pietre, una delle quali con iscrizione venetica è stata esposta alla mostra AKEO di Montebelluna; noi vi forniamo la descrizione di entrambe della professoressa Mariagrazia Lui, che le ha potute esaminare a San Vito insieme alla professoressa Marinetti, alla dottoressa Cangemi e al Soprintendente ai beni archeologici del Veneto dottor Malnati.
La pietra n.1 ha le seguenti misure:
Lato A cm. 18, lato B cm. 19, lato  C cm. 23, lato D cm, 17 ed uno spessore di cm. 4-5. Dovrebbe trattarsi di arenaria.
I lati A, B, D, sono stati spezzati recentemente; infatti , presentano una colorazione diversa dalle altre facce ed una patina non molto spessa di materiale organico (muschi , licheni ed altro). Il lato C, spezzato a sua volta, deve essere frutto di una lavorazione  (o di caso ) antica. In basso la pietra presenta tracce di lavorazione a mo’ di cornice e si suppone che fosse lavorata in modo da reggersi in verticale, forse infissa nel terreno. La superficie recante l’iscrizione è frutto di una raffinata e paziente lavorazione con una sorta di martelletto. L’iscrizione che si svolge lungo tutto il lato A sembra essere la parte centrale di un’iscrizione più lunga, mutila certamente della prima parte, meno certamente della parte finale; un segno a potrebbe essere interpretato come una traccia di puntuazione e, quindi , non costituire la parte iniziale di un’altra lettera. Sono oggi leggibili , almeno ad occhio nudo, nove lettere, in buona e chiara grafia locale (cadorina), piuttosto sicure e pulite nei tratti, dall’altezza di cm. 4 e dalla larghezza di cm. 2. L’ipotesi avanzata è che si tratti di un patronimico in caso nominativo;  purtroppo l’aspetto mutilo non lascia spazio a congetture circa il nome proprio del personaggio citato dal patronimico. L’assenza di notizie circa il contesto di rinvenimento (votivo, funerario, altro) non consente per ora di avanzare ipotesi interpretative. L’iscrizione si può tradurre così:  KIKANIJOS (figlio di kikanio). La pietra n. 2 ( della quale non sono riuscita a rilevare le misure) appare cosparsa di lettere (L, M, ed altre) incise profondamente in epoca assai recente e presenta un circolo realizzato a compasso   (è evidente ancora il foro centrale nel quale è stato puntato il compasso ). E’ impossibile datarla, visto che il luogo è stato frequentato per secoli da pastori e viandanti ed è credibile che chiunque di loro ed in ogni epoca potesse voler incidere un segno o le proprie iniziali su pietra.  Più interessante è risultato il secondo piano della pietra che reca, oltre ad un’accurata preparazione del supporto scrittorio, una miriade di segni realizzati con la tecnica filiforme, graffiti con selce o più facilmente con una punta di metallo. Sembra richiamare manufatti simili rinvenuti in Valcamonica o Wurmlach.
Mariagrazia Lui

A seguito di questa scoperta il lavoro di Daniele Lucia ha portato alla costituzione di una cellula museale con l’esposizione della pietra e ad un convegno sulla scoperta. Durante la successiva visita al luogo del ritrovamento uno dei partecipanti ha scoperto un’altra pietra con incisioni in venetico; è quindi evidente che non si tratta di un reperto sporadico ma di qualcosa di più complesso. Le ipotesi più probabili sono quelle di confinazioni o indicazioni per antichi percorsi ma non vanno scartati a priori supposizioni legati a dei culti.