SELVA DI CADORE, appunti sulla storia archeologica e sui ritrovamenti
di Ermenegildo Rova, Amici del Museo di Selva

(pagina creata il 20 giugno 2022)

Il territorio di Selva di Cadore, anticamente dipendente da San Vito di Cadore, ha finora restituito poche testimonianze archeologiche, ma importanti. Un primo ritrovamento avvenuto negli anni ’70 sulla cima del monte Cernera, a 2664 m. di altitudine, fu una lama di pugnale neolitica. A questo punto occorre citare Vittorino Cazzetta di Pescul, nato nel 1947, per tradizione familiare di professione pasticcere. Ha lavorato a Padova e Venezia e dovette fare il servizio militare in Marina, ma ad un certo punto, abbandonò la città per ritornare nella sua valle, dove già da ragazzo frequentava le sue montagne, sopratutto alla ricerca di fossili. Per merito suo sorse il Museo Civico della Val Fiorentina nel 1982, ma a quei tempi nessuno avrebbe pensato che l’archeologia prevalesse sul resto. Nel 1983 fece conoscere le impronte di dinosauri del monte Pelmetto, nel 1985 dopo essersi documentato su un opuscolo di una mostra tenutasi a Udine, “Cacciatori Mesolitici sulle Dolomiti” rinvenne a Mondeval de Sora, comune di San Vito di Cadore, le prime selci mesolitiche che indussero a partire con una campagna di scavo, condotta dal prof. Antonio Guerreschi dell’Università di Ferrara. I risultati promettenti permisero di continuare con gli scavi nel 1987, quando inaspettatamente, venne alla luce la sepoltura dell’Uomo di Mondeval. I successivi scavi continuarono fino al 2000 sostenuti da Comune di Selva, Comune di San Vito, Amici del Museo, Regione Veneto, Provincia di Belluno, Fondazione Cariverona e altri privati.

 

 

Per maggiori informazioni e per la descrizione dei reperti vedere la pagina Mondeval.

 

 

 

Riparo di Mandriz

Nell’onda dell’entusiasmo Vittorino indagò altri ripari nella Valle del Loschiesuoi, il più importante è quello denominato Mandriz.
Il riparo è costituito dall’ampio aggetto, rivolto a sud, di un masso erratico che, staccatosi probabilmente durante l’età glaciale dalle pareti del Monte Cernera, è ubicato a circa 1750 m di altitudine, in località Mandriz a nord della contrada Toffol (Comune di Selva di Cadore), sulla sponda sinistra del torrente Loschiesuoi.
Il sito archeologico, individuato per un caso fortuito nel 1985 dal compianto Vittorino Cazzetta, è stato esplorato nelle estati 1999-2002 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto con il sostegno finanziario della Regione del Veneto. Alle indagini archeologiche hanno partecipato attivamente la Federazione delle Associazioni di Archeologia del Veneto, nonché l’Associazione degli Amici del Museo di Selva di Cadore. Nel corso degli scavi sono stati rinvenuti i manufatti (principalmente vasellame ceramico e manufatti in selce) utilizzati dai gruppi umani preistorici durante i periodi di permanenza presso il riparo, nonché i loro resti di pasto, costituiti soprattutto dalle ossa degli animali macellati.

La documentazione archeologica

Il vasellame ceramico
Il vasellame ceramico è stato rinvenuto già allo stato frammentario, ad eccezione di un’olla pervenuta intera. Si tratta di recipienti d’impasto prevalentemente grossolano con superfici sommariamente lisciate di colore variabile dal bruno al rosso, trasportati sul sito dai villaggi di pianura o fondovalle e utilizzati per la preparazione e il consumo dei cibi. Le forme ceramiche individuate sono: vasi a bocca quadrilobata, una scodella emisferica con bugnetta sommitale, uno scodellone troncoconico decorato da tacche all’orlo, numerose olle pure decorate da tacche o bugne.

L’industria litica
I manufatti più numerosi sono quelli ricavati dalla selce. Tra gli strumenti a ritocco erto sono documentati principalmente grattatoi, troncature, punte a dorso e semilune. Alla classe dei Foliati vanno riferiti grattatoi, punte a base rettilinea e a base triangolare, ogive, punte con peduncolo e alette, cuspidi a tranciante trasversale. Tra i manufatti di tipo campignano si annoverano grandi punte a ritocco sommario; tra i residui di lavorazione si segnalano i microbulini. L’insieme dei litotipi utilizzati per i manufatti in selce è di età cretacea e proviene dalle formazioni bacinali del Biancone, della Scaglia Variegata, della Scaglia Rossa e della Scaglia Grigia affioranti nelle Prealpi Venete, distanti qualche decina di chilometri a meridione e a occidente dal sito del Mandriz. La selce veniva raccolta principalmente dagli affioramenti o dal detrito sciolto presente alla base della catena prealpina; fonti alternative erano i suoli residuali e i depositi torrentizi. Le evidenze di raccolta di ciottoli silicei dai torrenti riguardano esclusivamente la Scaglia Rossa. Le caratteristiche litologiche indicano che la maggior parte delle selci sono compatibili con affioramenti situati in Val Belluna, in particolare sul fianco sinistro della valle; il percorso per raggiungere il Riparo Mandriz seguiva dapprima il corso del fiume Piave e successivamente quello del torrente Cordevole. Sul sito sono presenti in misura molto minore selci provenienti anche da altre aree, nello specifico dal plateau Veneto – Trentino (altopiano di Asiago) e dai suoi margini orientale (Feltrino) e occidentale (Val di Non).

Aspetti culturali e cronologici della frequentazione del riparo
Le testimonianze archeologiche rinvenute sono di notevole importanza e documentano una frequentazione stagionale e pluriennale del riparo da parte di gruppi di pastori che dagli insediamenti di pianura o di fondovalle raggiungevano, risalendo la valle del Cordevole e la Val Fiorentina, i pascoli d’alta quota per praticare, durante la stagione estiva, l’alpeggio e l’attività venatoria.
I resti di pasto sono costituiti principalmente da ossa appartenenti in prevalenza a ovini (capre e/o pecore), mentre tra gli animali selvatici è ampiamente rappresentato il cervo. Pertanto la dieta alimentare dei gruppi umani che frequentarono il riparo durante il Neolitico finale e l’età del Rame (IV-III millennio a.C.) era basata sul consumo di carni (animali domestici e selvatici) ed era integrata assai verosimilmente dai prodotti derivati dalla lavorazione del latte e dalla raccolta di erbe e frutti spontanei.
La frequentazione del riparo, interrotta durante l’età del Rame verosimilmente a causa del distacco di blocchi e scaglie di roccia dalle pareti, fu ripresa con carattere alquanto saltuario durante l’età medioevale e rinascimentale. (E. Bianchin)

Altre scoperte, protostoriche e storiche

Stele del Monte Pore.

Molto è stato scritto su questa stele che presenta scritte bifacciali in lingua venetica, con particolarità affini a quelle di Lagole (G.B.Pellegrini). Si tratta di un cippo sepolcrale oppure di confine? Noi di Amici del Museo propendiamo per questa seconda ipotesi, cioè di confine tra Veneti antichi e Reti, analogamente con le iscrizioni del Monte Civetta, anche se c’è chi mette in dubbio che il Cadore dipendesse dal Municipio di Iulium Carnicum. Secondo noi la Val Fiorentina e l’Alto Zoldano alla sinistra del torrente Maè erano con Iulium Carnicum. Il confine proseguiva marcato dalle iscrizioni lungo una linea retta che corrisponde all’incirca all’attuale confine Selva- Caprile (osservazione di Vittorino Cazzetta; il punto potrebbe coincidere con Malborghet o Marmorghet negli scritti che citano la confinazione tra Cadore e Belluno nel 1428), Da qui riprende lungo i corsi torrentizi come in uso a quei tempi (Fiorentina- Cordevole- Rio Andraz.) per arrivare all’antico confine segnato dalla stele del M. Pore. Ipotesi che il Cadore antico si estendesse oltre Selva furono avanzate da G. Fabbiani e da altri, in particolare dal prof. Vito Pallabazzer, collese, il quale sulla base di una serie di motivazioni riteneva che anticamente il territorio di Colle Santa Lucia appartenesse al Cadore. Altri ipotizzano che il primo impianto del castello di Andraz fosse sorto con funzione del confine, e solo più tardi, con gli ampliamenti successivi, servisse per governare il territorio e le miniere, dopo che queste sono entrate nei possessi del Principe-Vescovo di Bressanone.

Le miniere del Fursil
Localizzate in quel di Colle con i primi forni vicini alle miniere e poi più distanti in funzione della disponibilità dei boschi per il carbone, del personale addetto e delle direttici di utilizzo dei semilavorati. Dalla bibliografia disponibile si rileva che i forni da ferro in Val Fiorentina erano due, uno citato nel 1244 e uno più tardivo a Pescul. Ricerche condotte dagli Amici del Museo hanno appurato che il Forno di Selva del 1244, diventato poi località Fiorentina, ufficialmente ritenuto il primo dopo la scoperta (o riscoperta?) delle miniere nel 1177 citata dal Barbarossa, non era il primo, perché un deposito di scorie scoperto in località Cesure (Chiesure) molto più vicina alle miniere, presume un forno antecedente al 1244, prossimo al 1177. Sono in corso contatti con la Soprintendenza per procedere con le indagini. C’è poi la citazione di Forno di Pescul (come località) in una pergamena del 1286 (Richebuono 1980), per cui i forni nel corso di circa 5 secoli sarebbero ben quattro: alle Cesure, di Selva- Fiorentina, di Pescul -S. Fosca e di Pescul in località Al For.

 

 

Ritaglio pergamena 1661 “cesura dal forno”

 

 

Solator (gruppo di case-sotto la torre)

Della torre di Villa ci restano i toponimi Sot lator e sub turri della fine del ‘300,  indizi di fondamenta mai indagate e nessuna altra citazione, solo scritti tratti dalla tradizione orale.
Nel 1915 nell’arare un campo in quella zona, un bue si sprofondò. Scavando venne alla luce un cunicolo scalinato. Nel corso degli anni il cunicolo venne reinterrato con materiali di pulizia dei campi, ma venne di nuovo ripulito nel 1992 dagli Amici del Museo. Al termine degli scalini la sezione si allarga leggermente e l’ultimo scalino girato di 90° si trova di fronte la fine del cunicolo con però una finestrella contro terra e i resti di una feritoia. Dietro poteva esservi un’apertura su una trincea dalla quale poter tenere sotto osservazione l’antico forno di Selva-Fiorentina. In quell’occasione la Soprintendenza ritenne che quest’opera fosse coeva al castello di Andraz. Nel 2019 l’Associazione Amici del Museo richiese uno studio sulle malte all’Università di Padova per giungere a una datazione del manufatto.

Le conclusioni dello studio sono riportate qui di seguito:

“Lo studio multianalitico condotto sul campione di malta storica proveniente dal cunicolo medievale di Solator – Selva di Cadore (BL), ha permesso di evidenziarne le principali caratteristiche composizionali, mineralogiche, e microstrutturali ed è stato possibile datare al radiocarbonio il campione in esame previa purificazione della frazione legante. Si tratta di un legante magro, con rapporto legante aggregato approssimativamente 1:3, costituito da una frazione di aggregato a base silicatica e carbonatica e da una matrice legante di tipo carbonatico con la presenza di silicati e alluminati di calcio e magnesio idrati riconducibili ad una reazione idraulica. La matrice presenta eterogeneità composizionali e microstrutturali indicative di processi di carbonatazione complessi e parziale reazione pozzolanica. La datazione al 14C riporta una data compresa tra il 96 a.C. (BC) e il 26 d.C. (AD), con una probabilità 2 sigma del 100%. La data ottenuta potrebbe essere affetta da un’incertezza dovuta alla presenza di aragonite, polimorfo metastabile del carbonato di calcio, rilevata nel separato gravimetrico analizzato al radiocarbonio. L’aragonite, identificata in piccole aliquote, può essere dovuta a processi di precipitazione secondari del carbonato di calcio, ma data la dedolomitazzazione avvenuta all’interno della miscela, potrebbe aver incorporato ioni CO3-2 provenienti dalla dolomite (carbonato geologico). Per queste motivazioni è possibile che la data ottenuta dal campione SdC_01 sia retrodatata a causa di contaminazione da parte di carbonato geologico.
La datazione a 2000 anni fa non sembra però inserirsi nel contesto finora conosciuto, in quanto si ritiene che il manufatto sia opera dei Conti Da Camino.

Antica strada di Forcella Forada

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Ancora negli anni ’90 gli Amici del Museo ricercarono l’antica strada che da Selva conduceva alla Forada, dove sapevamo che  transitava il legname per Venezia, specialmente nel 1571 quando Venezia era in guerra contro i turchi, per vincere poi a Lepanto nell’autunno. Era nostra convinzione che vi venisse trasportato anche il minerale di ferro del Fursil  per l’importante forno di Borca di Cadore, ma gli studiosi dell’epoca non vi credettero, e la tabellazione per Zoldo e anche il primo allestimento della sezione storica del Museo V. Cazzetta rimasero senza tale indicazione. Nelle ricerche sul territorio che condussi personalmente tra il 2007 e 2008, scoprii finalmente la vecchia strada, e fu una scoperta incredibile: un tracciato senza tornanti, con pendenza pressoché costante per una larghezza di 2 metri e forse più, con una bretella di collegamento con la strada che proveniva da Zoldo. Per anni ho interessato enti pubblici, Regole, privati e giornalisti al fine di un riconoscimento con una manutenzione nella parte coperta da mughi e un’indicazione del tracciato sui ghiaioni, dove la strada si è persa per poi riprendere sotto le rocce prima della Forada. Dopo un primo interessamento di alcuni e dopo tanti CD con foto e descrizioni siamo ancora al punto di partenza, in più con ostruzioni sul tracciato causate dalla tempesta Vaia. Nel frattempo nell’archivio di Selva è stata trovata la conferma del trasporto del minerale per la Forada.

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Vittorino Cazzetta

Oltre ad amare le sue ricerche su fossili, orme, siti preistorici e  iscrizioni rupestri, Vittorino amava anche la contemplazione della Natura, e questo lo rendeva un po’ riservato. In un fine settimana dell”estate 1985  ebbe un incidente e, nonostante le ricerche, tornò solo dopo un paio di giorni ferito e smemorato su quanto gli era successo, e fu ricoverato in ospedale per un certo periodo. Undici anni più tardi partì ancora, senza però fare ritorno. Solo un anno più tardi il suo corpo fu trovato dallo speleologo Gianni Lovato in un riparo precario dentro una fessura sul Piz del Corvo. Una successiva esplorazione sul fondo della fessura portò al rinvenimento di resti dello zaino con macchina fotografica perso da Vittorino nel 1985. Perdipiù nello zaino vicino al corpo tra altre cose vi era una madonnina in bronzo che, abbiamo appurato, aveva fatto fondere a Cortina. Evidentemente, ricordandosi del primo incidente, voleva collocare in loco la madonnina come ex voto. Un paio d’anni più tardi, nell’occasione di piantare una croce vicino al punto del ritrovamento, fu scoperta una grotta nascosta usata probabilmente da Vittorino, dalla quale poteva contemplare la valle e dove poteva anche pernottare.

Ermenegildo Rova, Amici del Museo di Selva di Cadore

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Il Museo Vittorino Cazzetta

Nel 1982 è stato istituito il Museo Civico della Val Fiorentina con la collezione di fossili di Vittorino Cazzetta come esposizione principale. Poco dopo, le importanti scoperte di portata internazionale, nei campi della geologia e dell’archeologia, effettuate da questo studioso autodidatta, hanno contribuito alla crescita del museo a tal punto da richiederne una ristrutturazione radicale, con ampliamento del fabbricato e nuovo allestimento, inaugurato nel 2010. Vittorino Cazzetta scomparve prematuramente e tragicamente in montagna nel 1996: ora il Museo è a lui dedicato.

Si tratta di un Museo Paleontologico, Archeologico e Storico i cui principali reperti sono costituiti da una sepoltura mesolitica completa di corredo funerario ritrovata a Mondeval de Sora e un enorme calco della superficie di un masso caduto dal Monte Pelmetto con impronte di dinosauro. Il Museo è stato recentemente ristrutturato con importanti interventi che hanno riguardato sia la sede ove è ospitato, sia l’allestimento.

Il Museo Vittorino Cazzetta si sviluppa su quattro piani di un bel edificio di proprietà del Comune di Selva di Cadore ed è dotato, oltre al parcheggio esclusivo, di vari servizi. In particolare al piano terra sono presenti la biglietteria, la biblioteca, il guardaroba, il book-shop, la caffetteria e una sala conferenze; al piano primo sono invece sviluppate la sezione geologica-paleontologica e archeologica, mentre al secondo piano sono collocate la sezione protostorica e storica e la saletta audiovisivi, inoltre nel piano interrato aperto fronte strada è stato ricavato un ampio spazio espositivo adibito a mostre ed eventi culturali.