CANAL DEL PIAVE, appunti sulla storia archeologica e sui ritrovamenti

(ultimo aggiornamento 12 aprile 2020)

Il Canal del Piave, da Termine a Perarolo di Cadore.

(F. Olivotto, 2020)

Il tratto di valle appartenente al Cadore, che vede il corso del Piave scorrere nella sua parte meridionale, è stato storicamente chiamato “Il Canal de la Piave” (Venanzio Donà – Il Cadore, manuale ad uso dei viaggiatori), anche gli abitanti dei villaggi erano appellati talvolta dagli altri valligiani “chei del canal”.

Geograficamente possiamo identificare questa propaggine del Cadore con il territorio che ha inizio da Termine di Cadore, estremo confine cadorino meridionale, per risalire verso Pieve di Cadore e concludere a Perarolo. Nelle carte antiche nella valle si riportano i seguenti paesi o località principali: in destra orografica Termine, Ospitale (Hospital-Hospitale-Hospedaletto), Rivalgo (Rualgo), Rucorvo, Macchietto, Carolto (Carolt) Venago e Perarolo (Peraruò); in sinistra orografica invece compaiono Davestra, La Sega, Venago, Ansogne e Caralte. La topografia storica ci dona anche innumerevoli altre informazioni con indicazioni di toponomastica interessanti, di luoghi anche perduti tra i quali alcuni di quelli citati sopra. (Mappe di riferimento: Kriegskarte 1805, Blaeu Willem 1640,…IGM secoli XIX-XX)

Il solco vallivo con la sua strada fu presumibilmente direttrice importante di collegamento tra le aree venete controllate anche militarmente dai paleoveneti prima e da successivi innesti di popolazioni celte e il regno del Norico (il Noricum romano, corrispondente all’Austria e alla parte della Pusteria che va ad est della zona di Brunico) ; già il Ciani ne parlava come di “…un’antica esistente Via Norica…”. Le testimonianze dell’importanza del collegamento vallivo ci arrivano da ritrovamenti simili tra di loro sia a sud del Cadore, sia in pieno territorio cadorino che a nord di esso. Tra questi emergono monetazione del Norico appunto, fibule di varie epoche, armi di tipo venetico, celta e romano, ceramiche, oggetti di vita quotidiana, a tracciare una linea continua di frequentazione e diffusione commerciale di produzione autoctone, d’oltralpe e di pianura, che per facilità commerciale dovettero transitare in questa valle.
Seppur con una probabile via mulattiera o forse già carrabile esistente, è con l’avvento di Roma che la viabilità in zona si amplia e con essa lo scambio di merci da e per le regioni sia del Norico che della Rezia ad essa ad ovest confinante. L’interesse di Roma era legato, oltre alla pacificazione delle Alpi come citato nel Tropaeum Alpium di Augusto presso La Turbie in Francia (7-6 a.C.), alla finalizzazione del controllo delle miniere ferrose del Norico e delle Alpi a noi vicine, ferro di eccelsa qualità, e dell’eliminazione dei dazi che gravavano sul commercio che dal Norico e dalla Rezia versava nel nuovo impero romano e che da questo valicava per inondare i mercati d’oltralpe. Notizie di ritrovamenti sporadici di monetazione romana e lungo la direttrice romana stessa che passava in alto di molti metri rispetto alla statale SS51 attuale ne danno conferma, a coprire almeno lo spazio temporale della durata dell’impero.
Tornando alla via di valle che corre sulla destra orografica del Piave alcuni, come il cadorino Alessio De Bon(1938), tendono ad identificare la stessa come la Claudia Augusta Altinate aperta da Druso verso il 16 a.C e fortificata, ampliata (munita) dall’imperatore Claudio e conclusa nel 47 d.C., vedi miliario celebrativo rinvenuto a Cesiomaggiore.

La strada romana rimase attiva per secoli, spesso ricalcando l’antico tracciato, con il nome di Strada Regia nel basso medioevo. Nelle citazioni nel 1428 in una relazione del Danieli, e nel 1484 un resoconto di viaggio del frate Felix Faber da Ulm soprattutto che descrive: “…Hospitiolum… dove è una buona locanda. Entrati ricevemmo buon cibo noi e i cavalli.” E ancora salendo da Perarolo verso S. Martino di Valle: “Qui (Perarolo) lasciammo sulla destra il Piave e per un ripido pendio venimmo nel Cadore…”. Successivamente il nome di quella viabilità prese il nome di semplice Strada del Canale.
Rifacimenti importanti questo percorso li potrebbe aver avuti sicuramente in epoca Carolingia, con il Sacro Romano Impero e, più tardi, in età della Repubblica Veneta tanto da essere anche chiamata “dei carri grandi”, prima del nuovo tracciato imponente della nuova Strada d’Alemagna conclusa nel 1830, futura SS 51.
Per fortuna abbiamo ancora oggi una forte testimonianza visiva di questi percorsi, a partire dalla torre della Gardona, prossima a Termine passando per la destra orografica del Piave, alta a mezza costa con ottima evidenza di tratti solcati dalle ruote dei carri tra Termine e Davestra, a nord e sud di Ospitale in località Ciope e non solo. La geomorfologia della valle purtroppo lascia intendere che stravolgimenti franosi siano accaduti nei secoli ,vedi testimonianze orali di paesi interi scomparsi in tutto il bellunese e in Cadore, di terremoti immani (778,1117,1348,1511,1695,1873 solo per citare i più devastanti) e di sconvolgimenti alluvionali tali da cambiare corsi perfino ai fiumi come nel 589 d.C.( Paolo Diacono, Historia Langobardorum, L.III cap.23)

Ritrovamenti diversi hanno riguardato Davestra, con il ritrovamento di quattro lastre in pietra bianca, ora disperse, con incise lettere non latine (Pian de le Vache); in località Prà de Cesa/Paluch/Le Vare si è invece individuato un importante ritrovamento, un insediamento di epoca tardo antica, alto medievale, con basso forno e sito intero legato alla metallurgia. Cospicui infatti i ritrovamenti di scorie di lavorazioni del ferro. Da un documento del XVI-XVII secolo si ipotizzerebbe che nel settimo secolo d.C. “pagani”, ovvero popolazioni non atte al culto cristiano, qui fossero impegnati; altri suppongono in aggiunta che i forni fossero propedeutici alla lavorazione della materia prima in arrivo da miniere collocate presso Cibiana, quelle di Ronzei e Carsiè, collegate alla valle del Piave da mulattiere. Non è affatto da escludere invece l’esistenza di una miniera in sito.

Ma la memoria popolare fa intendere anche che, ritornando sulle antiche vie, il percorso della strada antica passasse per la località Caralte ove si possono intravedere ancora cenni di essa o almeno di quella di epoca medievale e solo pochi anni fa si potevano vedere i solchi carrai poco fuori il centro del paese. Indagini quindi attendono gli appassionati nella zona e in quella di Perarolo per la quale ancora mancano le opportune verifiche complementari al tratto conosciuto della Greola che collegava Perarolo stesso a Valle di Cadore, come già scritto, citando il diario del frate Faber di Ulm.
Non avendo riscontro di centri abitativi antichissimi ( di epoca romana o precedente) documentati, per trovare i primi indizi di essi serve arrivare all’epoca longobarda, VI secolo d.C.
I longobardi hanno lasciato rilevanti segni nell’organizzazione della società della comunità Cadorina, e anche nei paesi del Canal del Piave. Inoltre il linguista Giovan Battista Pellegrini ci informa che questa popolazione di origine germanica ci ha lasciato un grande numero di tracce linguistiche ancor oggi in uso e rintracciabili nella toponomastica. Fara, varda, snaida e vizza tra i più conosciuti; alcuni presenti sia nel territorio ospitalese che di quello di Perarolo. Nell’editto del re longobardo Rotari del settimo secolo (643 d.c.) sono elencate disposizioni generali relative alla partecipazione ai beni collettivi, ma sarà solo nel 1235 che i Caminesi promulgheranno le Regole cadorine e da qui la formazione nel tempo a seguire di quelle che verranno riconosciute fino ad oggi come “Regole”. Regola di Perarolo, di Ospitale, di Davestra e Termine sono ampiamente citate e documentate. Ma vogliamo tralasciare questo ampissimo tema che merita più ampio studio e spazio, includendo tutto il Cadore.

Ma è certamente con il Sacro Romano Impero, immediatamente successivo ai longobardi che si rende necessaria la ripresa della politica di controllo dei territori e delle comunicazioni su stile imperiale Romano. Da qui la probabile massiva risistemazione delle vie e la fondazione di quelle stazioni di posta necessarie alle comunicazioni militari imperiali. Con tutta probabilità anche il paese di Ospitale prende qui vita, con il primo hospitium o hospitolium dal quale prende nome, ricovero per viandanti ma facilmente identificata come stazione di cambio cavalli e albergo. Il villaggio sorto attorno all’ospizio dovrebbe risalire almeno al X secolo (secondo alcune citazioni). I punti di dazio, punti di osservazione e di guardia invece nei secoli devono essere stati gli stessi, ricostruiti o riutilizzati, dominazione su dominazione.

Ma la vocazione di comunicazione tra varie culture e territori assegnata al Cadore e al Canal de La Piave trova riscontro non solo con la via di terra ampiamente esaminata, ma in maniera fortissima con la via d’acqua del fiume stesso. Con questa funzione il comprensorio montano acquista valore immenso e Perarolo ne è un esempio di durata secolare. La storia della fluitazione del legname dalla montagna alla pianura parte dai Veneti antichi (come racconta Strabone in uno dei suoi libri su “La Geografia”nel primo sec.a.C.); prosegue poi con i Romani che industrializzano massivamente sia l’uso del legno sia i trasporti su lunga tratta del legno necessario. Tra gli studi effettuati nella Caput Mundi sono emersi dati dendrocronologici e geografici che hanno certificato l’origine di legno cresciuto sulle Alpi. Non debba stupire questo se commisurato al commercio di ogni tipo di pietra e marmi in arrivo da ogni angolo dell’impero.

La cura dei boschi e della materia prima era importante per l’impero tanto da istituire dei “collegi” dedicati. Tra questi quella dei dendrofori, i futuri zattieri e/o menadas. Come molti fiumi dell’impero anche il Piave aveva voce in capitolo e a Belluno un cippo ricorda uno dei capi di questa associazione, la lapide di Marco Carminio Pudente, del secondo secolo d.C. protettore appunto dei dendrofori e dei…Catubrini!. Questa è in assoluto il primo documento che attesta la presenza della comunità dei cadorini. Unitamente alle testimonianze romane importanti richiamate da quella lapide, da quella del pagus del Castrum Lebatii di epoca Neroniana e da quella di Valle di Cadore con citazione di un Saufeio (la famiglia dei Saufei apparteneva alla Gens Claudia già insediata ad Altino) conservata presso il museo della Magnifica dello stesso primo sec. d. C. ecco che la linea di unione geografica ci fa supporre quanto Perarolo potesse essere per la sua posizione la “stazione di partenza della fluitazione” utilizzata dalle “corporazioni” del legname fin da epoca remota. Questa loro memoria è mantenuta viva ancora oggi da associazioni locali come l’Associazione Zater e Menadas del Piave con sede a Codissago e dal Museo del Cidolo di Perarolo di Cadore.
La storia del Canal de la Piave attraversa il medioevo come il resto del territorio cadorino. Ma è soprattutto con Venezia dal 1420 che la valle cresce industrialmente. Il legno sempre al centro di tutto. La guerra della Lega di Cambrai contro l’imperatore Massimiliano inizialmente vincente nel 1508 a Rusecco presso Valle di Cadore porterà tre soli anni dopo i paesi della valle a pagarne le conseguenze: anche i villaggi del canale vengono dati alle fiamme…

Se i “pagani” restano impressi nella memoria locale in più occasioni come la leggenda delle Anguane di Perarolo che accomuna il sito di Lagole a forre e grotte della zona di Perarolo e non solo, o al “cimitero dei pagani” non ancora individuato nella zona di Paluch a Davestra, la religione cristiana invece ha condizionato la vita e la crescita dei paesi fin dalle prime edificazioni di culto.
La leggenda del Bus de le Anguane di Perarolo è conosciuta dai residenti da tempi immemori; salendo ai piani di Dubiea, si trova un bosco e sulla destra una cavità profonda. Si narra che questa forra percorra il monte per trovare un’uscita proprio in prossimità dell’abitato di Perarolo. Si racconta che proprio li abitassero queste creature, donne bruttissime, dai piedi di capra e temute. Ad ogni passaggio si usava esclamare: “Hin Hin sento odor di cristianin!” oppure “Han Han sento odor de cristian”. Il racconto ha assoluta somiglianza nel suo essere teatralmente spaventoso con tutto ciò che nella tradizione cadorina e veneta veniva associato al “non cristiano”, al “pagano”. Fatto sta che, comunque, la popolazione ha usato quella grotta come ghiacciaia naturale per la conservazione delle carni; anche in estate il gelo che ne esce è tanto…

Se la nascita del nucleo abitativo di Perarolo è da ricondurre al 1300 la chiesa nacque nel 1407, ampliata nel 1455 con le pietre scartate dal vecchio ponte sul Boite (l’antico ponte che immetteva alla Greola?); fu intitolata a S.Nicola nel 1515, patrono degli zattieri. Divenne curazia nel 1604, slegandosi da Valle di Cadore. La prima testimonianza invece di una chiesa ad Ospitale risale al 1290 ma è accertata una preesistente cappella con annesso cimitero insistente nell’area dell’attuale edificio; anche questa comunità fa richiesta per avere un proprio parroco nel 1604, come Perarolo. In un paio d’anni entrambe le comunità vengono ascoltate ed esaudite, visto il reale sviluppo delle comunità. Per tutto il territorio di Ospitale fu una richiesta importante, si pensi che le salme fino ad allora venivano tradotte a carro fino al cimitero di Valle. Nomi trasmessi oralmente restano ad indicare il sito dell’ “andro dei mort” tra Ospitale e Rivalgo e del “pojamort” a sud di Ospitale, luoghi di sosta per i trasportatori dei morti che arrivavano da Termine…

Anche Rivalgo, facente parte della regola di Ospitale, ha origini medievali. In un documento del 1380 emerge la voce antica Rivalbus. Con tutta probabilità questo piccolo borgo si sviluppa attorno alle segherie che nascono lungo il fiume. Il primo piccolo luogo di culto è un altarino del 1539.
Termine è il luogo antichissimo di confine, dicevamo, fin da epoca romana, tra Iulienses e Belunensis o ancora tra Catubrini e Bellunesi. Il pese trae nome dal cippo confinario…. “lapide appellato termen” …(Paolo Bonetti – Ospitale e il canal de la Piave, 2004), verosimilmente di origine romana, cippo citato in un documento del 1428 relativo ad una sentenza per questioni di confine. Il cippo viene descritto brevemente indicando che riporta impressa una croce (o una X miliaria? ndr), che funge da confine. Termine inoltre sembra essere il primo luogo del canale ad aver visto l’impianto delle segherie per il legname fluitato…

Prendendo spunto dalle leggende di cui accennato in più punti precedentemente parliamo di Davestra. Davestra sembrerebbe il più antico centro (Le Vare) abitato di cui abbiamo notizia. Un manoscritto redatto dal primo curato di Ospitale nel 1600 circa, non identificato, menziona dei documenti dai quali si trarrebbe che già nel settimo secolo i “pagani” avevano edificato un tempio a Giove.
Ho voluto fermarmi al XVII secolo volutamente, per non rendere più pesante di quel che è questo scritto e per meglio affrontare i due successivi secoli che da soli meriterebbero i libri che i molti appassionati hanno già scritto.

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