PIEVE DI CADORE, appunti sulla storia archeologica e sui ritrovamenti
(Ultimo aggiornamento 28 giugno 2020)
Il territorio di Pieve ha sempre avuto un ruolo importante per il Cadore; il controllo dell’incrocio fra la valle del Piave e la valle del Boite dev’essere stato fondamentale fin da tempi molto antichi. Non stupisce quindi che i reperti siano parecchi e che ci sia un edificio romano ancora ben conservato. Il reperto più antico, presentato l’anno scorso, è l’ascia di Maias (XII-XI a.C.)
Nel 2010 Eugenio Padovan ha recuperato dei frammenti di terracotta dell’età del bronzo (XII-IX a.C.) dietro la casa natale di Tiziano durante dei lavori; c’era forse un castelliere sul monte Ricco? Le prime tracce dell’abitato sono una capanna con ceramica datata al X-IX a.C. probabilmente costruita sui bordi di un laghetto a Nebbiù, scoperta grazie all’intervento di Giancarlo Arnoldo, E. Padovan e Virginio Rotelli.
Sulle pendici di uno dei due monti che dominano l’area, monte Ricco, è stato fatto un ritrovamento molto interessante; alla fine dell’Ottocento dei militari che eseguivano degli scavi, trovarono dei muri di una stanza al cui interno furono recuperati una statua di Diana cacciatrice alta cm.10, varie monete romane, una patera (piatto) in bronzo con dedica a Marte in latino, due cucchiai e una paletta. Il materiale sembrerebbe votivo, anche perchè i cucchiai potrebbero essere dei simpula, come Lagole ed Auronzo. Il materiale viene datato in C.A.V. tra la fine del I a.C. e il I d.C.
Sempre sul monte Ricco nel 1889 fu scoperta un oggetto rotto di bronzo con iscrizione venetica (ITIKITHI secondo il Ronzon), descritto come chiave ma forse un manico di simpulum.
Presso il museo di Pieve si conservavano anche un sigillo (?) in pietra grigia iscritto, un anello iscritto e una piccola lapide iscritta; tutte le iscrizioni erano in venetico. (il Cadore 10 ottobre 1891); tutti i reperti venivano dal monte Ricco, a parte il sigillo che era stato trovato sul monte Castello, poco lontano. Sul lato opposto del monte Ricco a m.2 di profondità vennero trovate alcune monete romane, tra cui una di Costantino (337-340 d.C.), all’interno di uno strato di carboni di cm.30. Va anche considerata la segnalazione di Serafino de Lorenzo che nel libro “il centenaro di Valle di Cadore” scrive del ritrovamento di alcune statuette preromane e romane durante i lavori di costruzione del piazzale della caserma di Tai di Cadore; si sostiene anche che se si scavasse sotto l’attuale piazzale sarebbe possibile scoprire nuovi reperti. Nelle vicinanze sembra ci fosse una sorgente; potrebbe quindi essere un luogo di culto. Nell’attuale centro di Pieve, costruendo il municipio, si trovò un edificio romano, oggi restaurato, datato al II d.C. e durato fino alla meta del III d.C. Varie testimonianze raccontano che in zona costruendo altre case si erano trovati dei muri ma purtroppo non si è mai riusciti a documentarli. Nei pressi della casa di Tiziano l’oratore sono stati rinvenuti a tre metri di profondità frammenti di terracotta tardo antica. Nel 2004 il rinnovo della piazza Tiziano ha permesso di scoprire davanti all’entrata del bar Tiziano, una stratificazione di parecchi secoli che culminava con l’abitato romano e con reperti molto interessanti, fra cui un altare con iscrizione latina, un frammento d’osso iscritto in venetico, un frammento di vaso in terracotta probabilmente della cultura di Fritzens-Sanzeno (Reti). Poco distante dall’edificio romano fu scoperta una statua bronzea di Cerere, prima del 1891, presso la seconda casa della strada maestra che da Pieve andava a Pozzale, consegnata al museo di Pieve e poi ripresa dal proprietario che la vendette per emigrare in America (Il Cadore anno III n.20 10/11/1891). L’abitato romano si estendeva nella zona dell’attuale centro di Pieve parzialmente al di sopra di quello più antico; per quanto riguarda l’insediamento preromano la parte più cospicua era a Pozzale, a una quota più alta di 200 metri rispetto a Pieve. Lo dimostra il ritrovamento dei resti di una capanna con i frammenti di un vaso del VI-V a.C. . Esiste ancora un sentiero che da Pozzale porta a Rizzios (frazione di Calalzo) e poi a Deppo (frazione di Domegge); una alternativa alla strada di fondovalle di cui si era già interessato Alessio de Bon. Recentemente questa strada ha subito degli allargamenti a Rizzios ma non sono emerse evidenze archeologiche. Le necropoli preromane sono state scoperte a Pozzale (III-II a.C.), a Pecol (preromano non precisato), in località “il Cristo” lungo la strada per Valle (tarda età del ferro). Nel caso di Pozzale e del “Cristo” le sepolture proseguono anche in periodo romano dimostrando una continuità dell’insediamento. Molto significativa a Pozzale è un tumulo di ciottoli con parecchie sepolture; da un lato c’erano le armi in ferro, di tipo celtico, e lamine di cinturone, in un altra zona le situle bronzee e gli elementi di corredo( fibule, elementi in pasta vitrea), al centro due elmi, torques , simpula, una tazzina.
Vicino alla tomba una stele in pietra iscritta in venetico, non tradotta con certezza. A Pozzale va anche ricordata una sepoltura segnalata nel 1821 da Venanzio de Donà ; “uno scheletro di più che ordinarie dimensioni con due cerchi d’ottone al posto delle orecchie e una placca d’ottone sul petto sostenuta da catenelle che s’allacciavano al corpo per di sopra le spalle e sotto le braccia”.
Tracce di abitato protostorico a Pozzale
Il recupero “in extremis” a Pozzale di testimonianze importanti sulle antiche origini del paese dimostra anche quanto sia difficile intervenire sui cantieri edili, dove per interessi economici, non dico speculativi, non si pone alcuna attenzione al terreno che si ferisce e si asportano metri cubi di materiale senza indagini preventive o consulenze archeologiche. Riuscire in questa situazione a salvare dalle ruspe siti archeologici nascosti e sconosciuti è impresa aleatoria, tanto più che i cantieri sono interdetti ai non autorizzati. Pozzale è noto come antico insediamento dell’età del ferro e i suoi ritrovamenti sono tra i primi avvenuti in Cadore (1821), eppure negli ultimi anni all’interno del paese si sono operati consistenti movimenti di terreno a seguito di lavori edili, ma incredibilmente non è venuto alla luce alcun reperto, se si escludono gli scavi per il metano seguiti dalla Soprintendenza. Purtroppo questa è una situazione che si ripete anche in altre realtà simili in Cadore e deve far riflettere sul fatto che la vera tutela dei beni archeologici sta più nella sensibilità dei cittadini che non nella vigilanza delle autorità competenti. La recente scoperta a Pozzale è avvenuta in un cantiere aperto la scorsa estate, per la realizzazione di un piccolo parcheggio comunale in via Sopracolle, per migliorare la viabilità. Lo sbancamento è stato realizzato verso monte sul lato sinistro della strada che sale alle ultime case del paese e che poi prosegue per “le Ville”. Passando sul posto alcuni soci del Gruppo hanno notato consistenti carboni , che marcavano vistosamente la sezione di terra portata in luce, con una spessa e lunga striscia nerastra a circa un metro di altezza dal piano di scavo sopra la massa di argilla. Avvicinatisi per studiare più da vicino il terreno, hanno trovato sulla parete più corta, subito a destra dell’angolo nord dello scavo, assieme ai carboni, tre piccoli frammenti di ceramica nera di grosso spessore, il cui impasto inglobava piccole impurità, che apparivano come puntini bianchi. Vi erano anche pezzi di ossi di qualche animale come probabili resti di pasto. Sulla parete più lunga, quella parallela alla strada e posta contro il declivio, pressappoco a metà e sempre a un metro dal piano di scavo c’erano dei sassi di grosse dimensioni, che potrebbero essere un’opera di drenaggio sezionata dalla ruspa. Costituivano anche il limite di quello che a prima vista poteva sembrare l’area di un’abitazione, ma poteva anche essere una necropoli distrutta dai lavori o altro; dal tipo di ceramica si poteva presumere dell’età del ferro. Questo sito occupava la metà superiore del cantiere, l’altra metà sottostante era invasa da un accumulo notevole di sassi di piccole dimensioni, tra i quali vi era anche qualche coccio di vaso di epoca recente, probabilmente una discarica agricola. Immediatamente veniva avvertito il dott. Roberto Granzotto, sindaco di Pieve, che con grande sensibilità e coscienza contattava all’istante il responsabile del cantiere e concordava la sospensione temporanea dei lavori. Contemporaneamente si informava la Sovraintendenza .Questo avveniva la sera del 16 settembre, appena in tempo, perché era prevista per il giorno dopo la realizzazione della scogliera di grossi macigni per il contenimento della scarpata, che avrebbe coperto ogni traccia e impedito ulteriori ricerche. Da allora c’è stato un intervento di Eugenio Padovan per la Sovraintendenza, che con gli operai dell’impresa ha proceduto alla pulizia delle sezioni. Sono venuti alla luce altri frammenti ceramici dello stesso tipo dei primi e appena a monte del presunto drenaggio è apparsa la sezione di una buca di palo, che sembra confermare l’ipotesi di una struttura abitativa, posizionata contro il declivio. In seguito c’è stato il sopralluogo della dottoressa Cangemi della Sovraintendenza, che si è dimostrata interessata al sito. Nell’autunno del 1999 è stato effettuato parzialmente lo scavo; sembra si tratti di un’abitazione , dal momento che si sono trovate delle buche di palo, ma soltanto la continuazione in piano potrà chiarire la situazione. (D. Ciotti 1999)
La villa romana di Pieve
Nel 1952 Gianbattista Frescura, operatore della Soprintendenza, intervenne presso il municipio di Pieve, dove si stavano facendo dei lavori edili, scoprendo una villa romana con mosaici. Venne scavata una parte della struttura ma una grossa parte andava sotto il municipio. Fu staccato un mosaico e portato al MARC, dove è in attesa di un restauro; la villa venne sepolta.
Nel 2003 il comune ha deciso di valorizzare la struttura e ha restaurato l’edificio proteggendolo con una copertura vetrata. L’occasione ha permesso di indagare alcune parti dell’edificio non scavate (gli ambienti E,F,G,H della mappa). Si tratta quindi di una villa residenziale con muri in pietra locale spessi 45-55 centimetri dotata di riscaldamento ad ipocausto che partiva dal forno E e riscaldava la casa con aria calda dal pavimento ma anche dai muri laterali grazie a delle scanalature nei muri coperte con terracotte curve (tubuli) che portavano l’aria calda lungo i muri.
Un apparato che denotava un certo benessere del proprietario di cui però non conosciamo il nome. Gli ambienti A e B avevano i mosaici a tessere bianche e nere con disegni, l’ambiente C pare avesse un mosaico bianco. Gli ambienti F,G, H avevano pavimenti comuni che fanno pensare a stanze di servizio. La villa fu abbandonata verso la metà del III d.C., forse incendiata; la datazione è data da una moneta di Gordiano III (238-244).
Ma il fatto che non si siano trovati reperti sui pavimenti porterebbe a escludere fatti traumatici.
L’ascia di Maias
Il 15 dicembre 2018 è stata presentata al pubblico l’ascia trovata casualmente tra le radici di un albero abbattuto dalla tempesta Vaia dai signori Mario e Alessandro de Bona a Maias.
Durante la serata gli archeologi Giovanni Tasca, Diego Battiston, Anna Angelini hanno illustrato i primi dati sul reperto. Si tratta di un esemplare del tipo Freudenberg (3300-3100 anni fa); un’ascia ad alette mediane.
Nella cartina si può notare la sua diffusione nella Pusteria e nel basso Friuli (sono i punti bianchi). Il grande numero di reperti in Pusteria fa pensare che sia l’area di produzione di questo tipo di asce.
La Magnifica Comunità Cadorina finanzierà indagini metallurgiche per capire la zona di provenienza del minerale. Andrà anche esaminato con attenzione il luogo del rinvenimento per cercare di comprendere le ragioni dell’abbandono del reperto. (G. Zandegiacomo S. 2020)
Foto di Pieve e Tai a metà ‘900. Sulla destra il Monte Ricco.
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PIEVE DI CADORE
Arte – Storia – Memoria, il patrimonio culturale della Magnifica Comunità di Cadore (©MCC)
ARTE
Poco lontano dalla piazza di Pieve, dove sorge il palazzo della Magnifica Comunità, si trova la casa nella quale nacque Tiziano. Si tratta di un edificio il cui impianto risale al XV secolo e che ha subito nel tempo diverse modificazioni. Solo con il radicale intervento di restauro voluto dalla Comunità e concluso nel 1932, la casa del grande pittore cadorino è stata riconsegnata al suo aspetto originario. Oggi la casa-museo di Tiziano, che vi abitò in gioventù, prima di trasferirsi a Venezia per apprendere l’arte del dipingere, ospita al suo interno una raccolta di copie di disegni dell’artista (gli originali si trovano a Firenze) e altre memorie. Nella cappella ubicata all’interno della chiesa arcidiaconale è invece custodita una tela a soggetto devozionale, dove, sulla sinistra, appare l’autoritratto dell’autore. Il pittore rimase legato al Cadore per tutta la sua lunga vita: mantenne i contatti con la famiglia, che qui risiedeva, e che fu proprietaria dell’edificio fino alla morte del pittore; conservò inoltre un legame molto stretto con la Magnifica Comunità di Cadore, istituzione con la quale intrattenne rapporti di lavoro, soprattutto in qualità di rappresentante cadorino presso la Serenissima.
STORIA
La Magnifica Comunità di Cadore ha sede nel palazzo che si erge in piazza Tiziano, accanto alla chiesa arcidiaconale di Santa Maria Nascente, matrice della cristianità cadorina. L’antica istituzione, affermata di fatto già nel Trecento, ha rappresentato per secoli l’autonomia di governo della popolazione cadorina, che ha saputo conservare nel tempo la propria indipendenza soprattutto grazie ad un’articolata organizzazione politica di autogoverno del territorio. A partire dal 1338 i cadorini disposero di uno Statuto, un corpus di norme che regolamentavano la vita civile, politica e amministrativa dell’intero distretto, riconosciuto anche sotto il protettorato di Venezia (dal 1420) e nei secoli successivi continuamente aggiornato. Sarà Napoleone, nel 1806, a sopprimere l’istituzione della Magnifica Comunità di Cadore che vedrà la rinascita, come ente morale, solo nel 1875. Il palazzo ospita oggi un Museo archeologico che raccoglie reperti di epoca preromana e romana di notevole importanza, provenienti dal Cadore centrale (Pozzale, Valle, Domegge, Lozzo e Calalzo) e rinvenuti per buona parte nel secondo dopoguerra. Sono testimonianze che ci permettono di conoscere soprattutto la civiltà dei Veneti, la loro lingua, la loro cultura, documentata in Cadore dall’antica esistenza del santuario di Làgole, presso la fonte di acque minerali non lontano dall’attuale stazione ferroviaria di Calalzo. Vi si conservano numerosi bronzetti e statuine, molte delle quali presentano iscrizioni in lingua venetica.
MEMORIA
Oltre al prezioso patrimonio archivistico, costituito da un antico e cospicuo fondo documentario (atti e pergamene dal XIII al XIX secolo), il palazzo della Comunità custodisce una biblioteca moderna, che raccoglie studi e ricerche sulla storia del Cadore, nonché una biblioteca specialistica dedicata a Tiziano. La raccolta annovera periodici, miscellanee, opere critiche e contributi tutti pertinenti all’opera del grande pittore, alla sua vita, al suo tempo e alla sua cerchia. Alla biblioteca appartiene anche un fondo di stampe e documenti che conserva corrispondenza del pittore e altri manoscritti che documentano la vivace attività mercantile dell’intero casato Vecellio. Una parte del materiale bibliografico storico della Comunità è confluita nei fondi documentari della Biblioteca Storica Cadorina che ha sede a Vigo di Cadore; questa benemerita istituzione, fondata nel 1892 da Antonio Ronzon, si connota come biblioteca e archivio, e custodisce un fondamentale patrimonio di documentazione storica e contemporanea, ineludibile per ogni ricerca sul territorio e sulla società cadorina. Ad essa si affianca il Centro Studi dedicato a Tiziano e al Cadore che ha sede a Pieve nel quattro-cinquecentesco palazzo di Tiziano Vecellio l’Oratore. Un’importante raccolta di cimeli risorgimentali e una ricca documentazione sui Volontari Alpini della guerra 1915-18 completano il patrimonio documentario conservato dall’Ente.
Da oltre mezzo secolo la Comunità pubblica ininterrottamente un proprio organo di informazione a stampa: il periodico mensile “Il Cadore”, tribuna aperta sugli aspetti socio-culturali del territorio.
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Museo Archeologico della Magnifica Comunità di Cadore Pieve di Cadore
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ANAS – RELAZIONE ARCHEOLOGICA, Settembre 2017
DATI STORICO-ARCHEOLOGICI
Del settore geografico in esame, succintamente descritto dal punto di vista geomorfologico al punto 2, viene analizzata, in questa sede, la superficie corrispondente al comune di Pieve di Cadore anche se la presenza antropica in antico ha una profonda interazione con il comune di Valle di Cadore.
Il territorio presenta condizioni favorevoli all’insediamento stanziale di media montagna, imperniato sullo sfruttamento delle superfici moderatamente acclivi del versante esposto a sud e sud-est. L’economia locale, legata fino a tempi recenti alle attività agricolo-pastorali e alla silvicoltura, trova espressione sul piano insediativo nel modello dell’abitato sparso, distribuito in nuclei rurali o agglomerati di piccola entità. Tali modalità insediative in ambiente montano privilegiano sia lo sviluppo “verticale”, finalizzato allo sfruttamento delle superfici prative fino alle quote più elevate, sia alle attività di scambio in ambito vallivo e a mezza costa in prossimità di vie di transito. Nel caso in questione i siti riconducibili a frequentazioni stanziali antiche corrispondono ai principali nuclei abitativi attuali: i siti altimetricamente più bassi sono segnalati lungo l’antica viabilità che collega Valle a Pieve, a circa 880 m s.l.m., mentre quelli più elevati sono nella frazione di Pozzale, ad una quota di circa 1050 m s.l.m. Nella posizione più elevata dell’ambito vallivo, ovvero nella sella tra le pendici del Tranego e quelle del monte Ricco, si crea una posizione di privilegio, come vedremo, per l’insediamento di edifici suntuosi di carattere pubblico e privato, che connotano l’area come central place a partire dall’età romana fino all’epoca odierna, con la presenza del capoluogo del distretto cadorino.
Un elemento importante per lo sviluppo di tipo commerciale è legato al passaggio della viabilità che risale la valle del Piave verso il Cadore e l’Oltralpe, attiva a partire almeno dalla seconda età del ferro (Marzatico 2002) e potenziata in età romana (DE BON, 1938). Il percorso, proveniente da Belluno, all’altezza di Perarolo aggirava il versante occidentale del Monte Zucco e, superata la conca di Valle, raggiungeva l’abitato di Pieve di Cadore proseguendo oltre lungo la destra del Piave.
La viabilità lungo la valle del Boite, conosciuta come via Regia, collegava nel medioevo il Centro Cadore alla valle della Rienza, giungendo a Dobbiaco attraverso il passo di Cimabanche. La presenza di una strada carraia è nota dal XIII secolo ed è rimasta attiva fino alla costruzione della strada d’Alemagna, a tutt’oggi il principale collegamento con la Pusteria (SPAMPANI 2009).
In quest’ambito geografico la frequentazione più antica del territorio di Pieve di Cadore risale almeno a partire dalla tarda età del Bronzo, secondo la testimonianza fornita da un’ascia ad alette in bronzo rinvenuta nella primavera del 2017 nei pressi della località Maias (Sito n. 10), in un territorio decentrato rispetto alle frequentazioni delle epoca successive. Tuttavia, l’occasionalità della scoperta, non supportata da altri ritrovamenti coevi, e l’assenza di informazioni più precise sul contesto del rinvenimento, non consentono di delineare le strategie del popolamento di quest’area durante l’età del bronzo.
Poco attendibile è la notizia del ritrovamento di un’ascia in pietra levigata (Sito n. 4), proveniente da un luogo non precisabile e genericamente datata tra eneolitico e età del bronzo (Il ritrovamento, riportato in Carta Archeologica del Veneto (vedi scheda sito n. 4), è collocato dal Pellegrini genericamente a Pieve, in località non specificata, mentre il Fabbiani riporta un rinvenimento analogo, che potrebbe essere il medesimo, da Venas, quindi la localizzazione è incerta).
A partire dalla seconda età del ferro, sulla base di evidenze qualitativamente diversificate e distribuite secondo assetti topografici che costituiranno le basi del popolamento di epoca successiva, il quadro insediativo appare invece più articolato. A Pozzale (sito n. 7) e in località Cristo (sito n. 1) si collocano i rinvenimenti funerari principali; nel primo caso si tratta di un contesto complesso, protetto da una platea di ciottoli, suddiviso internamente con la disposizione di armi in ferro riconducibile a una panoplia celtica da un lato, un settore centrale contenente due elmi in bronzo, torques, simpula e una tazzina e alcune situle bronzee utilizzate come cinerari nel lato opposto; di rilievo è una pietra con iscrizione venetica trovata poco distante.
Nel secondo caso la sepoltura è in una situla in bronzo con armille, aghi e anelli in bronzo.
Purtroppo in entrambi i casi, i contesti, frutto di scavi effettuati nel XIX sec., non sono corredati da una documentazione esaustiva ( CAV, I, nn. 25.1, 22.1, pp. 63, 64 ).
Più circostanziati sono, invece, i rinvenimenti effettuati nel 2004 durante il rifacimento del muro di contenimento del terrazzo localizzato all’esterno del prospetto sud del Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore. In tale occasione si documentò una sezione stratigrafica con evidenze comprese tra l’età del ferro e l’epoca romana (sito n. 9). Costituiscono una novità rispetto alle facies culturali locali i frammenti di una tazza di ambito retico e un osso con iscrizione in caratteri venetici; se i reperti fittili sono databili al V-III sec. a.C., l’iscrizione su ossa sembra rimandare ad una più tarda tradizione legata a pratiche magico-sacrali documentata soprattutto in contesti di area retico-alpina tra il II e il I sec. a.C. (GANGEMI 2008).
La datazione attribuita a tale reperto è indiziaria di un processo di romanizzazione graduale, contraddistinto da un apporto culturale improntato, almeno nella fase iniziale, ad un modello di acculturazione, secondo modalità peraltro attestate in numerosi altri siti dell’area cadorina.
In alcuni casi, come già accennato, le frequentazioni di epoca romana insistono sui siti di epoca precedente, che, anche se in assenza di dati comprovanti, suggeriscono una sostanziale continuità di frequentazione e utilizzo.
E’ questo il caso delle tombe romane localizzate nei pressi dei più antichi siti funerari del Cristo (sito n. 1) e di a Pozzale (sito n. 7). Nel sito di Pozzale, ad esempio, alcune tombe restituirono corredi in monete databili da Traiano a Gordiano III, con un excursus quindi compreso tra la fine del I e la metà del III sec. d.C. Nella stessa località altre monete, peraltro decontestualizzate, si collocano alla metà del II sec. d.C. (sito n. 8).
Allo sviluppo economico e commerciale instauratosi con l’integrazione di questi territori alpini nell’ambito dell’amministrazione romana imperiale, si può ricondurre la comparsa di residenze di pregio, quali la grande domus di piazza del Municipio di Pieve di Cadore (sito n. 3), una villa residenziale dotata di pavimenti mosaicati e di sistema di riscaldamento ad ipocausto probabilmente realizzata nel II sec. d.C. e frequentata almeno fino alla metà del III sec. d.C. (CASAGRANDE 2013). Strutture abitative di più modeste dimensioni riconducibili alla tipologia della villa rurale sono finora note esclusivamente grazie al rinvenimento di un edificio lungo il lato sud del Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore (sito n. 9) e, plausibilmente, da limitati lacerti di pavimenti in cocciopesto rinvenuti nel 1991 in località Nebbiù nel corso di lavori edilizi (sito n. 13).
All’ambito cultuale sono forse ascrivibili le strutture murarie identificate nel 1894 alle pendici settentrionali del Monte Ricco (sito n. 6), tra le quali si rinvennero una statuetta di bronzo raffigurante Diana, una patera di rame con dedica a Marte e varie monete, mentre di dubbia interpretazione è lo strato carbonioso spesso 30 cm contenente due monete romane rinvenuto alle falde sud occidentali dello stesso colle nel 1951 (sito n. 5).
Nei siti sinteticamente descritti non sono stati rinvenuti reperti successivi al IV sec. d.C., dato che consente di ipotizzare un abbandono degli insediamenti, probabile conseguenza del periodo di crisi che contraddistingue la fine dell’impero romano.
L’alto medioevo nel territorio di Pieve di Cadore è contraddistinto da una pressoché totale mancanza di testimonianze archeologiche e documentarie. Ad una certa ricchezza delle documentazione storico-archivistica che si ha a partire dal XIII sec., si contrappone una scarsa densità di evidenze archeologiche, limitate al rinvenimento di due sepolture ad inumazione in località Pozzale, genericamente attribuite al periodo medioevale (sito n. 11). L’importanza strategica ed economica di Pieve nel Medioevo è testimoniata anche dalla presenza di un sito fortificato posto a controllo della confluenza del Boite con il Piave, insediato nel crinale a settentrione di Monte Ricco. Il sito è attestato a partire dal 1155 (Collodo 1988). Non sorprende constatare che la stessa area assunse molto precocemente anche funzione di centro amministrativo della circoscrizione ecclesiastica, testimoniata dalla fondazione eponima della chiesa plebanale, anch’essa documentata a partire dal basso medioevo in poi (Collodo 1988).