Di Dino Ciotti, dall’intervento per il festeggiamento dei 25 anni del GAC (Calalzo, 16 novembre 2021)
Riguardo la mia esperienza come Presidente, preciso che va dall’aprile 1997 al 19 aprile 2002.
Mi ritengo fortunato di averla svolta in quei cinque anni, perché sono stati anni ricchi di continue importanti scoperte in centro Cadore. Ritrovamenti archeologici che – per dirla con il Tomasi – “inducono a una revisione della storia antica del Cadore”.
In questa occasione voglio parlare di uno scavo di importanza quasi insignificante, però è lo scavo che ha rotto il ghiaccio. Per dirla con un eufemismo militare, è stato il battesimo del fuoco del Gruppo Archeologico Cadorino.
Dunque ritengo valga la pena ricordarlo nel festeggiamento dei 25 anni. Anche perché è uno scavo poco noto. Ma soprattutto si sono dette cose distorte sulla sua preparazione e realizzazione.
Inizio il racconto accennando a come assunsi la carica di Presidente: fu un incidente di percorso imprevisto e imprevedibile.
Nel direttivo di Giancarlo Arnoldo coprivo la carica di vice Presidente, un ruolo assolutamente figurativo, ma lo statuto prevedeva, in caso di dimissioni del Presidente, che la carica sarebbe stata assunta dal vice Presidente, dunque da me. Praticamente una eventualità da considerarsi impossibile con Arnoldo.
Invece, dopo un anno, improvvise e inaspettate arrivarono le sue irrevocabili dimissioni. Le comunicò per scritto a ciascun membro del Direttivo il 1° aprile 1997 e così mi fece il “pesce”.
Andai a trovarlo a casa, per cercare di farlo desistere, ma le sue motivazioni erano serie. Mi diede tutti i documenti del Gruppo e anche la sua 24 ore personale in cui li teneva.
Avrei potuto rifiutare l’incarico, ma mi sembrava un atto di viltà.
L’inizio fu difficile e non solo per me. Arnoldo, praticamente, faceva da solo tutto il lavoro. Certo, riuniva con regolarità il Direttivo, ma di fatto per informarci del suo operare. Ovviamente si rendeva perfettamente conto della nostra iniziale impreparazione.
Dunque, rimasti soli, ci sentivamo a disagio, disorientati. Ma ciò che era peggio, non godevamo la fiducia della Soprintendenza. Mi ero convinto, e non solo io, che il Gruppo si sarebbe presto sciolto.
Pensavo che il toccasana sarebbe stato poter fare quanto prima una qualsiasi indagine archeologica.
L’idea era di poter indagare l’area prativa sottostante Valle, a Est di Costa, di cui già si era occupato Arnoldo. Infatti l’anno prima si ventilava l’ipotesi che quella zona fosse interessata a breve dalla variante stradale di Valle, per cui Arnoldo doverosamente allertò la Soprintendenza.
La preoccupazione era dovuta al fatto che a Valle non ci fossero vincoli archeologici, nonostante tutti i ritrovamenti importanti che c’erano stati. In più, un articolo di Milo Mazzucco inserito da Eugenio Padovan nel suo libro “Archeologia bellunese” segnalava la presenza, proprio su quei prati, di cerchi visti dall’alto volando con il deltaplano. Cerchi che avrebbero potuto indicare anche una necropoli.
All’allarme di Arnoldo intervenne la dottoressa Giovanna Gangemi, ispettrice della Soprintendenza, che incontrò a valle il sindaco Matteo Toscani. Naturalmente partecipò all’incontro anche Arnoldo che, nel frattempo, aveva raccolto materiale cartografico e aveva scattato foto agli infrarossi dell’area vista dall’alto, dall’Antenna di Tai. In seguito tutto rimase sospeso.
Dunque l’idea era di approfondire le indagini, magari con uno scavo, ma mi spaventavano i costi.
Mi venne così l’idea di consigliarmi sul da fare con il nostro socio Gian Maria De Bon, il quale aveva amicizie negli ambienti archeologici di Rovigo e dell’Università di Ferrara.
De Bon prese subito delle informazioni, poi mi propose di rivolgermi al geologo-geofisico dottor Sandro Veronese, di fama internazionale, che aveva già eseguito con successo prospezioni archeologiche sia in Italia che all’estero. Di lui si era recentemente interessata la rivista di divulgazione scientifica “Focus”.
Mi sembrava una buona proposta: De Bon fissò dunque un appuntamento volante con il professionista, con cui ci ci incontrammo per un aperitivo a Tai. Gli mostrammo le foto di Arnoldo, ove si vedevano bene i cerchi ed egli valutò la possibilità che segnalassero delle strutture. Ci propose quindi una prospezione geofisca con indagine magnetica.
Siccome il costo dell’intervento era per metro quadro, chiedemmo il preventivo stimato per un’area ristretta ad alcuni cerchi. La cifra non andava oltre i 2 milioni di lire: un costo inaspettatamente contenuto.
Con questo preventivo, assieme alle due socie di Venas, Monica Dall’Asta del Direttivo e la sorella Wally, incontrai il sindaco Matteo Toscani nel suo ufficio e gli esposi il progetto.
Si dimostrò molto disponibile, mi sembrò addirittura quasi più desideroso di me di realizzare l’indagine e disse che il Comune avrebbe coperto interamente la spesa. Quindi contattò all’istante dal suo ufficio la Soprintendenza e volle parlare direttamente con il Soprintendente.
Il dottor Malnati, però, si disse contrario alla prospezione magnetica. Praticamente non era convinto della sua efficacia. Allora il Sindaco me lo passò al telefono e così subii lo scherno per nulla delicato del Soprintendente. Infatti alle mie spiegazioni rispose con una sonora e beffarda risata.
Non me la presi e, forse per istinto, controbattei proponendogli in alternativa uno scavo archeologico. Sorprendentemente acconsentì subito e con inaspettato entusiasmo.
Dopo ne discutemmo con il Sindaco, il quale consultò immediatamente l’economo e decise di accollarsi lo scavo per una cifra attorno a 5-6 milioni di lire. Per contenere la spesa chiese la disponibilità del Gruppo ad intervenire manualmente nello scavo: un invito a nozze!
Il Comune espletò tutte le procedure del caso e noi del Direttivo provvedemmo la stipula di un’assicurazione per quei soci che entrassero nel cantiere.
In conclusione, nell’ottobre del 1997 ci fu il primo scavo del Gruppo Archeologico Cadorino. Venne condotto dall’archeologo Paolo Michelini della cooperativa Petra, con la direzione scientifica della dottoressa Giovanna Gangemi, ispettrice della Soprintendenza di Padova, e con il lavoro di molti dei nostri soci.
Fece una visita veloce al cantiere anche Arnoldo e con il metal detector trovò tra il materiale di risulta, non setacciato, una fusaiola in piombo fuso.
La stampa locale scrisse dell’evento, parlando di noi, e molta popolazione venne a vedere lo scavo.
Alla fine ci fu una conferenza pubblica tenuta dall’archeologo Michelini sui risultati.
Concludo ricordando che tra i visitatori dello scavo ci fosse spesso Diego Battiston, allora ragazzo, che si interessava di molti particolari con precise domande. Chi lo sa, se dal nostro primo scavo non sia nata la scintilla che ha innescato la sua passione per l’archeologia?